mercoledì 30 luglio 2014

la leoncina





Nel vorticoso inceder dell’universo

un dì, forse, chi sa, per puro caso

lo sguardo mio, intento all’oprar noioso, fu preso

da un fiore, sbocciato in una primavera tiepidosa.



Quel fiore acerbo non  più rividi nella calda estate,

se non  alla fine nella mia stagione autunnale,

quando divenne rigoglioso e di esperienza dotto,

lasciandomi sbigottito ed un po’ esterefatto.



La stagione invernale ormai è giunta copiosa

e la neve, intanto, imbianca la  mia scarna chioma

mentre ammiro, come allora, quel bocciolo in fiore

che lo sguardo mi rubò in quella calda primavera.

 

Vive, orsù, in un mondo pieno di contraddizioni,

dove impera sovrana solo l’inquietitudine,

e sol la speranza vigile, correggerà ogni sorpruso

e  stanne sicura, sistemerà tutto per il verso suo. 




lunedì 14 luglio 2014

La pesca Tabacchiera




Pesca Tabacchiera o Saturnina


Con “tabacchiera” o “saturnina” si indica una rara varietà di pesche, la cui produzione è tipica delle pendici dell’Etna, originaria in particolare delle Valli del Simeto e dell'Alcantara. Il nome è dovuto alla forma, schiacciata sui due lati, che ricorda proprio quella di una tabacchiera o del noto pianeta del sistema solare. Sono molte le particolarità ed i pregi di questo frutto, purtroppo di limitata diffusione. E’ una pescadi taglia medio piccola, ha polpa bianca molto dolce e morbida. I tratti caratteristici sono il nocciolo molto piccolo - più di quello di un'albicocca- ed il profumo intenso tipico dei frutti appena colti e non sottoposti a trattamenti.

Dove si trova


Per quanto buono e ricercato questo frutto è davvero una rarità. Non temete: trovare le pesche tabacchiere è difficile ma non impossibile! Nonostante questa cultura abbia origine sulle pendici dell’Etna, oggi la si coltiva, a livello amatoriale, anche in alcune parti dell’Italia del Nord, soprattutto in Romagna. La sua area di produzione tradizionale comprende i Comuni di Adrano, Biancavilla, Bronte, Maniace, Mojo Alcantara e Roccella Veldemone. Vi avverto però: quando la si trova al supermercato o dal fruttivendolo di fiducia, dopo la sorpresa, la prima variante che attira l’attenzione è il prezzo, giustificato, ma decisamente più alto della media. La distribuzione della pesca tabacchiera non è semplice. E’ innanzitutto un prodotto di nicchia, poco conosciuto la cui richiesta di mercato è bassa e la produzione di conseguenza limitata. Può conservarsi per soli 2 o 3 giorni dopo la raccolta. Infine, la forma caratteristica mal si adatta agli imballaggi tradizionali per le pesche. In ogni caso sfido chiunque l’abbia assaggiata a dire che non ne vale la pena...

Storia


La peschicoltura si diffuse sulle pendici dell’Etna ad iniziò 800 quando si conclusero i privilegi feudali, grazie all’approvazione della Costituzione del 1812. Fino a quel momento ai conduttori dei latifondi non era mai stata permessa la coltivazione arborea. Fu poi la riforma agraria del 1950 a dare la svolta definitiva all’economia siciliana sostituendo le colture annuali con quelle perenni. Ed ecco che sulle pendici dell’Etna, vicini dei famosissimi pistacchi di Bronte, incominciano a crescere altri prelibati frutti, come le pesche saturnine. Furono gli amministratori di una delle proprietà storiche della zona, la Duceadi Maniace, ad essere particolarmente attivi nell’opera di sperimentazione di nuovi cultivar di frutta e a scoprire nella pesca tabacchiera una delle più adatte al microclima etneo. La zona, già nota per essere stata donata nel 1799 da Ferdinando di Borbone all’ammiraglio inglese Orazio Nelson, come ricompensa dell’aiuto fornito per stroncare la rivoluzione di Napoli, si rivelò subito vocata alla frutticultura. Grazie ai suoi terreni ben drenati, l’abbondanza d’acqua e l’escursione termica del territorio le pesche risultarono buonissime e conquistarono subito il favore degli abitanti locali. Da diversi anni questa prelibatezza siciliana è diventata presidio Slow Food, con l’obiettivo di aiutarne la difficoltosa commercializzazione e preservarla dalle contaminazioni dell’agricoltura moderna.

mercoledì 2 luglio 2014

Grotta di cocceo

Interno del tunnel della Grotta del Cocceio


·La  Grotta di Cocceio 

 La grotta di Cocceio è una galleria sotterranea, scavata sotto il monte Grillo, che collegava Cuma con la sponda occidentale del lago d'Averno. 


Cartina dell zona Cuma - Campi Flegrei (Comune di Bacoli)






Fu costruita nello stesso periodo alla famosa "Crypta romana" per permettere un’agevole comunicazione fra il porto di Cuma ed il Portus Julius, situato nel bacino lacustre Averno-Lucrino,


Facciata dell'ingresso della grotta di Cocceo 
 conosciuta pure come (grotta della pace)
sulla sponda occidentale del Lago di Averno.




La Grotta di Cocceio percorre sotto  il Monte Grillo con un percorso rettilineo di circa 1 km ed è ampia 5-6 metri, è ben illuminata ed aerata tramite sei pozzi tagliati e scavati anch'essi nella volta della galleria. 
L'uscita stava in prossimità  di Cuma, doveva essere ubicata vicino all'infiteatro della città, in parte crollata durante la seconda guerra mondiale per l’esplosione di ordigni bellici, qui depositati, è attualmente inagibile, ma se ne prevede il restauro in un futuro, speriamo, prossimo.










Galleria parallela alla grotta del Cocceio per l'acqua









Parallelamente alla galleria carrabile correva una seconda galleria, con una sezione di un paio di metri, che portava l’acqua dall’acquedotto del Serino alle installazioni militari flegree, fino alla piscina mirabilis di Miseno.


 
il tunnel della grotta del Cocceio