martedì 26 aprile 2016

La Dracma, la moneta metallica dell'antichità accettate ovunque



Dollaro americano( moneta Metallica d0argento)







Euro ( moneta bimetallica Europea)



Euro (Moneta Diritto italiana)






















La moneta metallica al pari delle attuali monete (Dollaro ed Euro) riconosciute ed accettate in egual misura in tutto mondo), fu  nell’antichità  “la Dracma“.

 
Dracma  Ateniese ( moneta metallica in Argento)






La Dracma, in special modo  la Dracma Ateniese,  fu quella coniata col cosiddetto “piede attico”, poiché rappresentava  la misura ponderata  utilizzata ad Atene e nei territori ad essa  politicamente e commercialmente legati.
La Dracmaera effigiata sul diritto  dalla testa della Dea  Atena con il profilo rivolto a destra ornata da orecchini indossante un elmo crestato, abbellito con rami di olivo. 

 
Dracma (diritto della moneta raffigurante Atena)


  
Al rovescio era impressa La Civetta , l’animale sacro alla Dea Atena, recante anch’esso un ramoscello di olivo, quale simbolo astrale della Dea. 
DRACMA ( rovescio della moneta raffigurante la Civetta)





Tale moneta (la Dracma) fu utilizzata per qualsiasi scambio commerciale per tutti i paesi del Mediterraneo  ed anche nei Paesi del Vicino Oriente.





Mappa della circolazione della Dracma nell'Antichità)




 
DIDRACMA (moneta da 2 Dracma d'argento)


 
TETRADRACMA (moneta da 4 Dracma d'argento)
TRiem





 mentre per gli scambi commerciali quotidiani  erano usate monete  di formato più piccole, ma sempre di argento, denominate “gli Oboli”,  che avevano come divisionali Emiobolo(del valore di ½ Obolo), il Triemobolo  ( del Valore di ¼ di Obolo).

OBOLO (monetine di piccolo formato , ma d'argento)


 
Emioboli eTriemoboli ( monetini d'argento di 1/2 e 1/4

Obolo)









 
Il termine, Obolo è usato anche oggi nel senso figurato di piccola moneta, tassa, piccola donazione o piccolo contributo; questo significato proviene dal ruolo che questa moneta ebbe nella mitologia greca.
Tra i decimali infine fu coniata un moneta metallica di egual formato, ma  meno pregiata, coniata con il metallo di Rame, che serviva  per gli scambi della sola  commercialità  di piccole merci e facili prestazione di servizi,  chiamata Kalkos, che valeva appena un ottavo di Obolo.

domenica 17 aprile 2016

La mitica Cynara, traformata in carciofo. ,


La mitica Cynara




. La storia del carciofo è legata ad una antica leggenda  dell’antica Grecia, da dove nasce poi un grazioso mito. Il carciofo, infatti, secondo la mitologia è uno dei tanti desideri amorosi avuti  da Zeus.(Giove)
Si racconta che  ai piedi del monte Olimpo nella boscaglia vivesse una bellissima ninfa di nome Cynara, la quale era bellissima perchè aveva la particolarità di avere degli occhi bellissimi dalle delicate sfumature verdi e viola. Giove (Zeus) appena s'accorse di tanta bellezza se ne innamorò ed iniziò a corteggiare la bella ninfa. 
Cynara, la meravigliosa ninfa, oltre ad essere di animo buono e dolce era anche molto orgogliosa e, non accettando la corte incessante del Padre degli Dei, rifiutò ogni sua avance.









Giove non si perse d’animo e ritentò svariate volte pur di conquistare il cuore della bella Cynara, che puntualmente però  lo respingeva.
Un giorno, infine, Giove si arrabbiò per i continui rifiuti della ninfa e non potendo più tollerare tale situazione decise di punirla trasformandola nell’ortaggio che più le somigliava.

 

Il carciofo in fiore, ortaggio sano e dal cuore tenero

D











Tale vegetale doveva avere una scorza dura e spinosa, come il carattere e l’atteggiamento dimostrati da Cynara verso il re dell’Olimpo, e al contempo un cuore tenero e dolce come di fatto era l’animo della bella ninfa.

 
Il cuore è la parte più buonae tenera del carciofo










Campo coltivatocon carciosi sardi con spine




Per quanto riguarda i colori, questi sarebbero stati il verde ed il viola come gli occhi di Cynara, dalla quale, alla fine, nacque il carciofo.
I carciofi più buoni sono quelli sardi che più rappresentano il mito di Cynara .



mercoledì 13 aprile 2016

Dracme greche


Dracme - monete greche



 Tetradracme ( 4 dracme) moneta dell'antica grecia
 Con l'effige incisa della civetta e della dea Atena





Moneta greca  da  1 euro ( simbolo la civetta)





L’emblema della Civetta fu ed è  l’emblema ed il simbolo di Atena, dea greca della saggezza, e patrona dell'antica città di Atene e da cui ci giungono le prime testimonianze e gli stessi attributi di cui sotto erano immagini della sapienza e della intelligenza della Dea, nonchè della capacità di “vedere oltre”, di prestare attenzione, di saper intuire, portatrice di saggezza dunque arte e conoscenza; (ed è per questo motivo che sulla moneta da quattro dracme era incisa l’immagine di questo rapace ed attualmente è la civetta  è incisa sulla moneta di €  1).


L'effige di questo uccello prevale in moltissime statue o raffigurazioni di Atena, posta indistintamente sulla mano destra o su quella sinistra. La civetta viene accostata sia al mondo lunare e misterioso della notte, alla chiaroveggenza, alle arti magiche, alle visioni, che alla capacità di illuminare le tenebre dell’ignoranza umana con la luce del raziocinio.

domenica 10 aprile 2016

La fioritura primaverile dell'albero del ciliegio


Fioritura primaverile dell'albero del Ciliegio






La Primavera è sinonimo delle fioriture fipiche degli alberi, che acquistano il bel colore grazioso del bianco.
La prima di queste fioriture tipiche è quella del ciliegio. Questo particolare albero in grado di darci dei succosi frutti intorno alla stagione estiva, fa parte della famiglia dei pruni.
Tale pianta  nonostante sia originario della Mar Morto e di zone ben più calde rispetto alla nostra Italia, sono ormai secoli che è diffuso nella penisola. Il clima temperato infatti consente una crescita rigogliosa di questi alberi.
Il ciliegio per le sue particolari caratteristiche ed esattamente una delle maggiori colture arboree diffuse in Italia, con predilezione per le regioni Campania, Puglia, Veneto, Emilia-Romagna.


Fioritura primaverile dell'albero del Ciliegio







Superlativa qualità di ciligia è  la nota  Ciligia Arecca , specialità della zona di Chiaiano- Marano, (zona della città metropolitana di Napoli), e dove ogni anno si tiene nel mese di Giugno, una particolare festa “ La sagra e la festa della Ciliegia”

 
Ciliegia  Arecca




Il Ciliegio è un albero simbolo in Giappone dove esiste una tradizione millenaria, l’Hanami, che significa “ammirare i fiori”. I ciliegi (detti sakura) in fiore sono un vero e proprio spettacolo che si può contemplare da inizio aprile fino a metà maggio
I fiori del ciliegio si affacciano alla vita con i primi caldi primaverili, sono Bianchi e venati di rosa, questi fiori sono tra i più graziosi tra quelli che si affacciano sugli alberi con l’arrivo della primavera.



Ramo del Ciliegio in fiore

martedì 5 aprile 2016

La beffa del grano

La Beffa  del Grano



.
Diciamo subito :
 ll periodo in cui fu usato lo stratagemma della beffa del grano è il Medio Evo, esattamente quando Napoli era un Ducato Autonomo.

 
Mappa del Ducato di Napoli nel territorio campano



Siamo all’incirca nel 9^ secolo dopo Cristo, tra gli anni 834 e 840, la città di Napoli era retta dal Duca Andrea II, suocero del Duca Bono, che fu Duca dal 832 al 834, che si era a sua volta impossessato del Ducato napoletano con un colpo di mano, facendo uccidere il legittimo Duca, Stefano II in una trappola mortale con un patto scellerato con il vicino nemico longobardo, che regnava a Benevento, il principe Sicone.

Il famoso Principe Sicone del Principato Longobardo di Benevento, passato alla storia come un maniaco collezionista di reliquie di santi, tanto che trafugò tra le tante, perfino le spoglie mutili di san Gennaro, e da Napoli  le portò come trofeo nella sua Benevento durante un assedio alla città partenopea  senza  mai conquistarla.

Alla morte di Sicone nel Principato di Benevento succede suo figlio, Sicardo, che si propone  di seguire le velleità paterne, tra cui quella di assoggettare Napoli e ridurla  come territorio al servizio del Principato. Immantinente assedia la capitale del ducato  Autonomo di Napoli  attraversando ed occupando con il suo poderoso esercito parte del territorio fuori dalle mura della città.

Non riuscendo, poi, mai a farla capitolare.

Sicardo, esasperato  dalla resistenza  dei Napoletani  pensava che  la città ducale avesse fatto incetta di  vettovaglie e, ma non sapendo la reale consistenza, per cui non si era sicuri se l’assedio potesse portare alla conquista  del Ducato autonomo o durare mesi, forse perfino anni  tali da sfiancare le forze assedianti.

Monete al tempo di Sicardo Beneventano ( il solido) d'oro)



Riunito il consiglio dei capi assedianti ed sentito il loro parere, Sicardo stabilì di chiedere una tregua per permettere ad un suo ambasciatore di entrare in città con l’intento di trattare o meglio far finta  di trattare di togliere l’assedio a certe condizioni, poi una volta dentro le mura, si doveva controllare, verificare, spiare e cercare di capire come fosse la reale situazione delle scorte, se stavano per finire o erano tali da sopportare ancora per molto l’assedio. 

 Il Duca napoletano, Andrea II, si dichiarò disponibile a trattare con un ambasciatore avente pieni poteri per un duraturo accordo onorevole.

Sicardo nominò come ambasciatore il nobile e fido , Roffredo, che si presentò sotto le mura della città con una scorta di cavalieri.

 Prima di farli entrare, le guardie ducali fecero loro lasciare le armi fuori la porta d’accesso della città con la scusante di non spaventare la gente del popolo. L’invito fu accettato e da loro stesso giustificato che era giusto, anche perché erano lì per trattare la pace.

Giunti dinanzi al Duca Andrea II, Roffredo,  voleva subito dettare le condizioni, le garanzie per arrivare alla pace, che avrebbe soddisfatto sia gli assedianti, che gli assediati e poi sentenziò sia noi, che voi, pensiamoci  per qualche giorno, mentre io resterò nella vostra città  per conoscerla meglio . A queste parole, il Duca, informato delle vere intenzioni dell’inviato beneventano, rispose: onore e piacere e subito impartì ordini  ai suoi che il nobile Roffredo  era suo ospite e che sia portato a visitare la città, dove desiderava andare, ma solo da domani.

Il nobile ambasciatore beneventano riprese a dire: perché da domani? Gli fu risposto, da parte del Duca,: siete mio ospite ed in modo suadente gli sussurrò: ora vi ristorerete e poi vi riposerete.



Nel ritirarsi dallo schietto incontro con il Duca Andrea, Roffredo lungo il porticato del palazzo del Pretorio, dove risiedeva tutta la Corte ducale, trovò una bella tavola imbandita  e sdraiato, poi, su un comodo giaciglio, gli fu servito un lauto pranzo, di polli e pesci arrostiti , infusi in una forte salsa di aglio e aceto, decorati  con salvia, prezzemolo e timo e spruzzati di abbondante pepe.  Ogni boccone fu seguito da sorsi di vino d’uva, bevuti da un capiente calice, che appena svuotato, puntualmente  veniva riempito poiché serviva a spegnere l’arsura, derivata da cibo salato e pepato.

Il nobile Roffredo , dopo le abbondanti libagioni, fu accompagnato in una  stanza areata, dove sprofondò  in un letto di piume e s’addormentò come un bambino.

 Dormì tanto che non s’accorse che fuori dal Palazzo, ci fu un viavai di gente che correva e si dava da fare con carri e buoi per tutta la città.  



Svegliatosi l’indomani, già con il mattino iniziato, Roffredo con la sua scorta disarmata e con la guida messa a sua disposizione dal Duca  di Napoli, iniziò  a girovagare  per la città , osservando case, gli orticelli ed i giardini ad essi annessi, strade con un selciato ben compatto, botteghe, dove ferveva il lavoro dei tessitori, degli armieri, dei conciatori.

La sua attenzione fu attratta, però, da una serie di montagnole, che incontrava durante la sua attenta passeggiata e rivolto alla sua guida napoletana,  domandò stupito il perché di tali accumuli di grano all’aperto per strada e nelle piazze. Gli fu risposto : non sappiamo dove riporlo, poiché i granai sono strapieni, data l’abbondanza dei raccolti. Resosi conto dell’abbondanza delle risorse degli assedianti, Roffredo per portarsi velocemente dal suo Principe, si accomiatò senza profferire alcuna parola, lasciò  Napoli e fece intendere che la pace sicuramente si sarebbe conclusa.

Nella stessa serata rientrò a Benevento dal suo principe  Sicardo, e gli riferì che era meglio togliere l’assedio e venire a patti , poiché sarebbe stata solo una pazzia continuare tale scontro con il Ducato partenopeo, dato che le scorte di grano e l’insieme delle attività  da lui osservate, avrebbero permesso  una resistenza per ben oltre un anno.

La pace fu dunque firmata e l’assedio fu tolto mentre il duca Andrea, non fece passare molto tempo a far recuperare e rimuovere il grano, sparso  sui cumuli di sabbia delle montagnole apparse ai Beneventani beffati, poiché non si doveva sprecarlo, dato che ne avevano solo una modesta riserva. Recuperato il grano, con gli  stessi carri  trainati dai buoi furono infine caricati con la sabbia che era stata prelevate notte tempo, quando il buon ed ingenuo Roffredo dormiva placidamente nel suo letto di piume nel palazzo Ducale e fu riposta sulla medesima spiaggia.   

Un po' di furbizia a volte può più e meglio che con l'agire con armi o con il danaro.