lunedì 23 luglio 2018

Caterina Manriquez,la reginella di Marano


















Caterina Manriquez,la reginella di Marano

Ciliegia Arecca























La Reginella Caterina Manriquez. non è ricordata solo per la ciliegia Arecca , ma soprattutto per il ruolo che ebbe,  quando,  ( dopo la rivolta di Masaniello il 17 luglio 1647, provocata dall’insofferenza nella crescente imposizione fiscale operata dal governo vicereale di Napoli), si ebbe la restaurazione spagnola operata dal nuovo vicerè Don Giovanni, figlio naturale illegittimo del Re Filippo IV di Spagna, nel 1649°,  quando fu domata anche  la Reale Repubblica partenopea, di tipo monarchico, retta dal nobile francese, Enrico II di Lorena, duca di Guisa ,  per volere dei rivoltosi ad assumere la guida della nascente repubblica.

 Don Giovanni d'Austria ( 1629 -1679)
Figlio illegittimo di Filippo IV di Spagna
Restauratore del Regime del Viceregno Spagnolo






Enrico II di Lorena , duca di Guisa
Vicerè e presidente della Real Repubbilca Partenopea







A rivolta domata, Caterina da Marano, si prodigò con  sue vessazioni di tasse e  con un’innata prepotenza padronale, ad  imporre in tutti i suoi territori da lei infeudati, come Marano a Napoli, ma, anche, a Maierà e Cirella in Calabria. per far sentire la sua perfida autorità. 
Le vessazioni della Caterina Manriquez consistevano , come  riportano alcune memorie  trascritte dallo storico Beppe Barleri, trovate  curiosando negli  scritti, tenuti da solerti curati dell’epoca, nelle sacrestie parrocchiali, che mal sopportavano le angherie della nobile principessa spagnola e spesso erano costrette a lasciare i propri campi e chiedere altrove protezione ad altro feudatario per non subire ulteriori  umiliazioni o come alcune famiglie contadine locali come i Bayano, uno dei tanti rivoltosi dei casali limitrofi  di Napoli, dopo la sollevazione di Masaniello.

Marco Bayano. infatti, è la sfortunata storia eroica  dello stesso, che era figlio di Vincenzo Bayano e di Lionora Camerlingo, ed apparteneva a quella,  (che fa capire meglio la perfidia della principessa di Marano, nota  meglio come la Reginella di Marano,) famiglia modesta contadina, che era alle dipendenza dei nuovi feudatari  di Marano , i Manriquez , ed abitava nei pressi dell’attuale Eremo di Pietraspaccata, la cui cappellina era dedicata al Salvatore ed era nota comunemente “del Salvatoriello”. Poiché i campi rendevano poco e le tasse erano feroci, i Bayano, pur essendo importanti produttori di frutta eccellenti, tra cui la famosa ciliegia Arecca, più di una volta erano stati costretti a contrarre debiti con esosi usurai, anche, perchè erano spesso sopraggiunte lunghe malattie di Vincenzo, il capofamiglia, a complicare le cose, e più volte Marco aveva pensato di andarsene via da Marano. Per uscir dalle grinfie dei creditori e dalle prepotenze del padrone feudatario, Donna Caterina Manriquez. Soprattutto dall’incertezza sul futuro, agli inizi del 1646, Marco disse al padre di aver deciso il suo destino. Si sarebbe arruolato come soldato e sarebbe andato a combattere con l’esercito spagnolo, magari sperando in un discreto bottino di guerra, in uno dei tanti luoghi dove la Spagna (cui eravamo assoggettati) era impegnata in quel momento dentro e fuori l’Italia. La madre Lionora tentò di scoraggiarlo, ma più di tutti fu la bella fidanzata, Tozza Mirabello, a supplicarlo di non lasciarla. Marco fu, però, irremovibile e, tra le lacrime della fidanzata, si arruolò. Quello che ricevette come paga e come compenso della “ferma” lo diede agli usurai per liberare i suoi da una morsa diventata ormai insopportabile. Passarono alcuni mesi e il pensiero della bella Tozza, lasciata in lacrime, a Marano, non dava pace al povero Marco, al punto da fargli cambiare idea sul suo stesso futuro. Così, per il suo amore, Marco decise di lasciare l’esercito, la guerra e gli Spagnoli.
Purtroppo per non finire impiccato come tutti i disertori, chiese al padre di aiutarlo a mettere da parte 50 ducati, occorrenti per il suo “riscatto” e reinserimento nella vita civile.
 Vincenzo Bayano, allora, chiese soldi  per il riscatto del figlio alla sua padrona feudataria “ donna Caterina Manriquez “ che glieli rifiutò ed il povero uomo  fu costretto, suo malgrado, a rivolgersi ai soliti creditori, che chiedevano  interessi esagerati e forti garanzie.
La somma per il riscatto fu  procurata da Lionora Camerlingo, la moglie di Vincenzo, che non si perse d’animo ed il 2 giugno 1646 inviò una supplica al Vicerè di Napoli nella quale, dopo aver denunciato che, incredibilmente, i suoi 140 ducati di beni immobili, la masseria abitata, non bastavano per il riscatto del servizio militare del figlio,Marco. chiedeva il suo reale intervento.
”Il  beneplacito ed il Reale assenso le fu concesso, dopo varie incessanti suppliche dal vicerè spagnolo di Napoli dell’epoca, Don Rodrigo Ponce de Leòn, duca D’Arcos, che permise così di poter ottenere il riscatto sperato e così,  Don Vincenzo Bayano, marito di donna Lionora Camerlengo, poté recarsi, infine, presso il notaio e stipulare il prestito con le debite cautele di simili contratti…”
Dopo il pagamento del riscatto militare, Marco, riuscì  a tornare a casa e sposò immediatamente la sua Tozza, e ritornò a ripercorrere la monotona vita del contadino.

IL 17 luglio del 1647, però, la sua vita cambiò, perché in piazza Mercato a Napoli, scoppiò la scintilla che porterà in meno che non si dica, il pescivendolo Masaniello a capeggiare una formidabile rivolta antispagnola e a diventare capopopolo della città più insofferente a qualsiasi tipo di dominazione straniera.
 In pochi mesi la rivolta napoletana di Masaniello investì tutti i casali della provincia, alcuni dei quali, però, furono ferocemente avversari dei rivoltosi.
I Maranesi non persero tempo a organizzarsi e, il 24 ottobre di quell’anno, combatterono una feroce battaglia contro i “realisti” nella gola vicino alla masseria del nobile napoletano Dentice. Marco, che aveva già avuto esperienze militari, si trovò subito a essere tra i capi della rivolta e con un’azione di aggiramento fu tra quelli che riuscirono a bloccare e sconfiggere le armate reali, facendo un notevole bottino di armi. Questa azione militare, però,  gli costò la vita, perché un colpo di archibugio gli trapassò il petto e si ritrovò col volto nella polvere, insanguinata dal sangue di altri 14 concittadini che avevano creduto in un possibile cambiamento.

 
Masseria Dentice nrel Comune di Marano

 
Marco fu sepolto nella “sua” cappella del Salvatoriello, vicino alla sua masseria, confortato dal pianto della infelice Tozza.










Eremo della cappella del Salvatoriello  della Pietraspaccata di Marano
dove riposa l'eroico corpo di Marco Bayano






La storia di Marco non finì lì,  perché  Caterina Manriquez, principessa di Marano, dopo quel periodo di  paure e preoccupazioni di fare una brutta fine, si riprese e manifestò tutta la sua arroganza ed autorità, e quando, resasi conto che








 la rivolta era stata definitivamente domata in tutto il napoletano, convocò i nobili che facevano parte della “Universitas” cittadina di Marano e pretese la condanna di tutti i rivoltosi  a cominciare dalle famiglie delle vittime, tra cui quella di Vincenzo Bayano, che fu costretto suo malgrado a  passare il resto della sua vita a lavorare sodo, con tutta la sua famiglia, per risarcire il pagamento di tutti i danni  causati da quella infelice rivolta.

Lo stesso atteggiamento, Donna Caterina Manriquez, lo usò in tutti i suoi feudi tanto che continuò fino a 1649 quando alcune famiglie lasciarono i loro campi di Maierà e Cirella, perché vessate dall’esose tasse e dalla feroce prepotenza  della Reginella maranese e chiesero protezione  ai Carafa che avevano  feudi proprio al confine  di tali territori e si stabilirono, poi, a  Diamante.



Le nefandezze del regime feudale, quale l’assoluta prepotenza e l'autorità senza controllo del nobile signore, padrone di quel pezzo di territorio, furono abolite definitivamente dall’istituzione, dei Comuni e dei Consigli Comunali  (il decurionato) eletti dal popolo, per volontà del Re francese, Giuseppe Bonaparte, nel 1806 , dopo le passate esperienze della Repubblica Partenopea del 1799, che fece seguito alla Rivoluzione francese ed alla prima scintilla rivoltosa del 17 luglio 1647, del pescivendolo Napoletano, Tommaso Aniello, noto come Masaniello. finalmente così, si incominciò a parlare di popolo che poteva, in un certo senso, decidere anche se solo localmente dei propri governanti.

domenica 8 luglio 2018

L'origine della ciliegia Arecca e la storia della sua produttrice.



            La ciliegia della Arecca                                
  la  produttrice "Caterina Manriquez"










La leggenda, poi, finita per diventare la vera storia del meraviglioso  frutto, prodotto nelle collinose campagne della città di Marano di Napoli, la famosa ciliegia  dell’Arecca, vuoi per la bravura dei coloni della zona, i Bayano, e vuoi per la competenza della nobile famiglia spagnola, padrone del rigoglioso possedimento,” I Manriquez ".


I Manriquez ottennero  il territorio di Marano, quando faceva parte del demanio reale del Regno di Napoli e fu messo in vendita dal Vicerè- il Conte di Monterrey, Manuel de Acevedo y Zuniga, (marito di Leonora Maria de Guzman) che nel 1631 ( per inviare cospicui tributi e personale da utilizzare come soldati), richiesti dal potere imperiale della Spagna,  per sostenere le guerre di successione nei vari stati europei - di quel periodo storico, (come la famosa guerra del 30 anni tra la Francia e la Spagna), come ci è stato tramandato e come è stato riportato dettagliatamente da scritti, pubblicati da eminenti storici locali . come il Barleri Peppe, Giacomo Chianese, Domenico De luca, Pasquale Orlando, curiosando tra le memorie di solerti sacerdoti succedutisi nelle sacrestie  delle parrocchie della zona Nord di Napoli.. 

Tutto iniziò, quindi, nel periodo del Vice-Regno spagnolo di Napoli, esattamente durante il periodo, in cui era Re di Spagna e del Regno di Napoli, Filippo IV d’Asburgo ( dal 1621- al 1665) e suo rappresentante nel regno di Napoli , in qualità di Vicerè, il Conte Monterrey.

 
Re Filippo IV di Spagna ( re di Napoli) ( dal 1621al 1665)









Manuel de acevedo y Zuniga,  Conte di Monterrey
 (marito di Leonora Maria de Guzman)
 Vicerè di Napoli nel 1631





Per far fronte all’evenienze espansionistiche belliche spagnole, il vicerè dell’epoca ,il conte di Monterrey decise di concerto con i Nobili locali, (per soddisfare le pressanti richieste del Reame Spagnolo) di vendere alcune  città del Regno Napoletano e le consistenti Terre demaniali dei Casali della città di Napoli per poter accrescere le supreme Regalie.

 La città di Taverna in provincia di Catanzaro, infatti,  fu venduta al nobile Ettore Ravaschieri, Principe di Satriano, quella dell'Amantea in provincia di Cosenza al Principe di Belmonte, il Casale di Fratta(maggiore) al Medico Bruno, i casali di Miano e Mianello alla Contessa di Gambatesa, la città di Marano al Marchese di Cirella, Don Antonio Manriquez, e così si procedette per altri luoghi ed altre persone: e tutto ciò  cagionò disordini grandissimi.

I cittadini delle terre del Demanio Regale Napoletano, spesso,  non accettarono di essere soprastati e sottoposti a facoltosi acquirenti, che imponevano senza alcuna limite dazi e si davano ad eccessi autoritari, tanto che i Cittadini di tali territori, chiusero o sbarrarono  le Porte di Accesso ai compratori, (erano per lo più nobili), rifiutando di dar loro il possesso comprato, e facendo valere così  i loro antichi privilegi feudali, inerenti alle terre cosiddette del Demanio Regale, con liti legali, che producevano alla fine che loro stessi potessero pagare il prezzo di vendita fissato per la loro terra e rimanessero così territori liberi, per termini di giustizia, senza padrone, rimanendo  solo come Demanio Regale.Entriamo nel merito della storia, cosa centra Marano e la storia della ciliegia dell'Arecca con tutto questo: è presto detto- dunque -





Grappolo alla loro maturazione di ciliege Arecca



  La città di Marano, quindi, con la venuta a Napoli degli Spagnoli si trasformò in un territorio immenso agricolo cambiando  il proprio volto, da zona prettamente collinare, inglobando nel 1630 il casale di Quarto ed il territorio dell'attuale Monteruscello, in una zona estesa agricola oltre ad essere solo collinare , diventa anche pianeggiante e fu compresa interamente tra i Casali Demaniali del Regno di Napoli.
 A seguito di ciò, nel 1630 quando si decise di alienare i casali, quello di Marano fu venduto a don Antonio Manriquez, marchese di Cirella, che ne divenne il proprietario con tutta la sua famiglia ed alla sua morte successe nel 1631 il figlio Diego.
A Diego successe, poi, la  sorella Caterina (nel 1637), che fu la prima produttrice della famosa ciliegia Arecca , (narrazione che racconteremo  poi in seguito ) ed alla sua morte, nel 1690, successe Eufrasia Serbellone (figlia di Caterina Manriquez).
Il casale di Marano, alla morte di Eufrasia Manriquez Serbellone, (Figlia di Caterina Manriquez, ultima principessa di Marano), avendo sposato Giovangeronimo Del Negro, conte di Quaranta e proprietario di vari casali e terre calabrese, come quelle di Motta Bovalino, oltre a Cirella, acquisì anche tali dominii.

La proprietà di tutti questi beni acquisti a seguito di intrecci successori passò, poi,  alla figlia  Francesca Del Negro.

Francesca  del Negro, a sua volta, sposando Ferrante Spinelli della famiglia dei principi di Tarsia, gli trasmise anche le sue proprietà ereditate, tra cui il casale di Marano e quale, Contessa di Quaranta,  anche la terra di Motta-Bovalino ed i vari casali dopo la morte del padre Giovan Geronimo  Del Negro.

Alla morte di Francesca Del Negro, maritata Spinelli avvenuta il 1687), subentrò,   per effetto della feudalibus, sua figlia Caterina Spinelli, principessa di Tarsia.

Da CATERINA SPINELLI dei principi di Tarsia, rappresentante del predetto Ferrante Spinelli,  suo padre e legittimo amministratore, il 5 maggio 1689 anche della terra di Motta Bovalino e quella di Marano, come figlia primogenita ed erede in feudalibus della fu Francesca Del Negro predetta, deceduta a settembre 1687 (Reg. Sign. 82, f. 141 t.), sposò il 16 gennaio 1700, Aniello Ettore Caracciolo, 3° Marchese di Barisciano , e da quel momento,  Marano divenne dominio della famiglia Caracciolo.

Alla morte di Caterina Spinelli, maritata Caracciolo, il feudo del casale di Marano il 24 maggio 1704 fu ereditato dal figlio Nicola Berardino Caracciolo che poté fregiarsi del titolo nobiliare di Principe di Marano e  tale dominio della Famiglia Caracciolo finì, quando furono abolite le Universitas territoriali  e nacquero i Comuni.
 Marano, quindi, dal 1704 fu un feudo dei nobili Caracciolo. Nel 1806, però, a seguito della riforma amministrativa operata sotto il Regno napoletano di Giuseppe Bonaparte, il feudo fu abolito per fare spazio alla nascente amministrazione comunale maranese. In seguito Marano seguirà le sorti dapprima del Regno delle Due Sicilie e poi dell'Italia ed infine recentemente è diventata " Città di Marano di Napoli con il suo Stemma.







Lo stemma del Comune di  Marano 











Dopo l'edotta successione del dominio delle terre del Casale o meglio del Comune Di Marano interessiamoci e   della Famosa ciliegia "Arecca" e della sua prima produttrice.Caterina Manriquez.





Ma chi era esattamente Caterina Manriquez, la prima produttrice della famosa Ciliegia  Arecca  coltivata  sulle collina dei Camaldoli  nei versanti di  Marano e  di Chiaiano. .
Caterina Manriquez, denominata la Reginella di Marano, ufficialmente poteva fregiarsi del titolo  di principessa, poiché l’era stato conferito dal re spagnolo dell’epoca , Filippo IV d’Asburgo, dopo che la fece allontanare dalla corte di Madrid, per volontà della Regina, la sua prima moglie, Elisabetta di Francia, che aveva scoperto la tresca amorosa che intratteneva con lui.
Re Filippo IV di Spagna, per non contrariare sua moglie, la regina Elisabetta, fu dunque  costretto a  spedire la bella Caterina presso la famiglia  di lei a Marano, proveniente  da Salerno dove risiedeva nel  feudo di Cirella, inizialmente assegnato.    Il padre di Caterina,  Don Antonio Manriquez, nominato marchese  di Cirella ,  accolse la  figlia  a ben volere, perchè pensava di usarla per imparentarsi  con altri nobili feudatari, e, cosi poteva,  come era  in uso a quel tempo, espandersi territorialmente e contare di più nel nuovo mondo nobiliare del Regno Napoletano.
Il buon Don Antonio Manriquez, partecipava  ad accaparrare quanti più città o casali  del regno di Napoli, messi in vendita dal Vicerè, il conte  di Monterrey per ringraziarsi il potere insaziabile del Regno spagnolo . 
Caterina raggiunse via mare Salerno e dopo un breve soggiorno, conobbe Il barone Serbellone e venne a vivere con lui nel casale di Marano , che il padre, Don Antonio Manriquez le aveva  acquistato nel 1630  tra i vari casali del demanio reale di Napoli, messi in vendita.
Caterina  a Marano, si stabili con il marito nel castello di Scilla nei pressi di via recca e da li governava tutte le  zone di campagna e le masserie annesse e da perfetta padrona dava disposizioni  ai coloni che erano alle sue dipendenze, come  piantare nuovi alberi  da frutta e ortaggi vari, che aveva portato con se dalla Spagna.
La bella Caterina portava, infatti, nel cuore, coi sogni giovanili, anche  il ricordo delle albe e dei tramonti di fuoco che l'avevano incantata, fin da bambina, nel lontano territorio collinoso madrileno, con i profumi intensi dei mirti, ed il sapore inconfondibile dei deliziosi  frutti assaggiati, come le fragranti ed inconfondibili ciliegie rosa-pallide.
Si racconta  che si era portato o aveva importato al suo seguito, quando lasciò la terra spagnola, alcuni alberelli di ciliegio che fece piantare nelle campagne della Collina di Marano, la sua nuova residenza.

 Nella nuova dimora la sposina volle dopo aver fatto piantare gli alberelli di quei frutto prelibato, la ciliegia , che aveva portato dalla terra natia spagnola e lo nomò  ricca con il nome della famiglia del colono, Gaspare Ricca,  che aveva prodotto per primo  tale eccellenza di frutto o come dice lo storico locale ( ciliegia regale, da cui deriva recale ed infine recca) 
Per deformazione fonetica e labiale la qualità di tale ciliegia è divenuta, poi : la ciliegia Arecca.
Il prodotto, la ciliegia Arecca, incrementò a Marano anche il mestiere dei cestari, i quali per dividerlo per qualità, lo  sistemavano dopo la raccolta nelle "Varriate", ceste rettangolari che potevano contenere fino a venti chili di ciliegie (le sporte). Poi vennero altre ceste più pratiche, chiamate "Cerasare", anch'esse rettangolari e da quindici chili netti. Le più pregiate erano messe nel "cestino", che  era usato per regalare le ciliegie primizie alla propria fidanzata
Altro mestiere  fu impegnato per le ciliegie è fu quello  degli scalari, che crearono e si dettero da fare per fornire una scala  pratica funzionale per raccogliere tale specialità le ciliegie senza sciuparle e lasciare sui rami i germogli futuri fino alla cima  dell'albero.
La scala inventata, che permetteva di salire sull'albero di ciliegio, che può raggiungere anche i venti metri di altezza in sicurezza, era "lo Scalillo", che allora  si usava ed  ancora oggi si usa. Lo scalillo, è prodotto da sempre a Marano,  è un scala lunga e stretta, formata da un minimo di dieci ed un massimo di trenta scalini, distanti tra loro cinquanta centimetri. Ogni piolo dello scalillo è largo trenta centimetri e presenta al centro un'intaccatura nella quale il raccoglitore, appoggiando il ginocchio, resta libero di usare entrambe le mani senza perdere l'equilibrio.