Capitolo Ottavo
durante le 4 giornate del 1943
Anche il Borgo di Chiaiano che, dal 1926 era diventato uno dei quartieri di Napoli, conobbe l’occupazione tedesca, il bombardamento anglo americano e l’eroica resistenza dei suoi abitanti durante le quattro giornate di Napoli.
Durante quel triste periodo, alcuni personaggi si prodigarono con il loro agire ad assistere, ad aiutare i propri compaesani, (Chiaiano, a quell’epoca anche se facente parte di Napoli, era ancora un paese) proponendosi con il loro coraggio, con assoluta abnegazione, e sfidarono le avversità del momento, per questo sono ancora presenti nella memoria di tutti Chiaianesi, sia per averli conosciuti personalmente, sia per averne sentito parlare dai loro genitori, che vissero anch’essi in quei tragici momenti.
Come si può dimenticare e non far ricordare ai posteri il dottor Giovanni Di Marino, il medico condotto,
Durante quel triste periodo, alcuni personaggi si prodigarono con il loro agire ad assistere, ad aiutare i propri compaesani, (Chiaiano, a quell’epoca anche se facente parte di Napoli, era ancora un paese) proponendosi con il loro coraggio, con assoluta abnegazione, e sfidarono le avversità del momento, per questo sono ancora presenti nella memoria di tutti Chiaianesi, sia per averli conosciuti personalmente, sia per averne sentito parlare dai loro genitori, che vissero anch’essi in quei tragici momenti.
Come si può dimenticare e non far ricordare ai posteri il dottor Giovanni Di Marino, il medico condotto,
‘a Vammana ,
la levatrice Donna Rosa Cappiello, che assistette le nostre mamme a farci nascere, Sergio Bruni, alias Chianese Guglielmo, che molti non sanno che fu un indomito partigiano alla difesa del ponte di Chiaiano e divenuto poi famoso per essere stato uno dei maggiori interpreti della canzone napoletana, definito il Cesellatore della melodia partenopea, Luigge ‘O Zaino, al secolo Luigi Ruggiero ‘o partigiano alla difesa dei ponti di via margherita, noto pure come ‘o Cumunestone ‘e Santacroce e de Calure ‘e Vasce (Sono questi i più noti, che si distinsero coll’apportare il loro contributo a poter superare quei terribili giorni, fatti di privazioni, di paure e d’umiliazioni).
C’è poi la terribile storia del tedesco fatto prigioniero ed ucciso a sangue freddo ‘ncoppa ‘a Saurella (il piazzale antistante, ‘o palazzo do’ munaciello sulla via detta savorelli).
Di tutto ciò cercherò di lasciarne traccia scritta, ricavata dai miei ricordi e dalle varie testimonianze raccolte di questi personaggi e fatti, che fanno parte del patrimonio storico recente d’ogni Chiaianese doc, per far comprendere meglio ai posteri la nostra storia in qualche modo vissuta e la verità dei fatti accaduti.
Dopo l’ultimo bombardamento del 13 luglio 1943 (durato quasi tutto il pomeriggio e dove fu sganciata una quantità innumerevole di tritolo su tutta Napoli con il solo proposito di distruggere le resistenze germaniche e fasciste, che erano asserragliate in città a presidiarla), la popolazione civile stremata e decimata cercava di trovare riparo nei ricoveri (caverne sotterranee, che esistevano sotto ogni palazzo di Napoli), ricavati dagli scavi delle pietre estratte dall’immenso patrimonio tufaceo, di cui la città partenopea era ricca.
Anche Chiaiano aveva i suoi ricoveri, che erano situati nelle grotte delle cave chiuse, adiacenti la grande fossa, detta “‘O Monte de’ Cane “, un baratro profondo circa 100 metri e largo una cinquanta di diametro, per raggiungere il fondo esisteva una scala a chioccia, che girava tutt’attorno alle pareti in forma circolare, che la delimitava. Le grotte si trovavano all’inizio della selva di Chiaiano, nella zona delle Gesine, all’inizio del sentiero, detto Mieze ‘e Tre vie, nascoste dentro una fitta vegetazione di alberi di castagno.
Quindi tutta la popolazione del borgo era assiepata all’interno delle grotte nell'attesa da un momento all’altro di un attacco finale di una grande incursione aerea.
Donna Rosa Cerullo in Diaspro , la levatrice di Chiaiano |
la levatrice Donna Rosa Cappiello, che assistette le nostre mamme a farci nascere, Sergio Bruni, alias Chianese Guglielmo, che molti non sanno che fu un indomito partigiano alla difesa del ponte di Chiaiano e divenuto poi famoso per essere stato uno dei maggiori interpreti della canzone napoletana, definito il Cesellatore della melodia partenopea, Luigge ‘O Zaino, al secolo Luigi Ruggiero ‘o partigiano alla difesa dei ponti di via margherita, noto pure come ‘o Cumunestone ‘e Santacroce e de Calure ‘e Vasce (Sono questi i più noti, che si distinsero coll’apportare il loro contributo a poter superare quei terribili giorni, fatti di privazioni, di paure e d’umiliazioni).
C’è poi la terribile storia del tedesco fatto prigioniero ed ucciso a sangue freddo ‘ncoppa ‘a Saurella (il piazzale antistante, ‘o palazzo do’ munaciello sulla via detta savorelli).
Di tutto ciò cercherò di lasciarne traccia scritta, ricavata dai miei ricordi e dalle varie testimonianze raccolte di questi personaggi e fatti, che fanno parte del patrimonio storico recente d’ogni Chiaianese doc, per far comprendere meglio ai posteri la nostra storia in qualche modo vissuta e la verità dei fatti accaduti.
Dopo l’ultimo bombardamento del 13 luglio 1943 (durato quasi tutto il pomeriggio e dove fu sganciata una quantità innumerevole di tritolo su tutta Napoli con il solo proposito di distruggere le resistenze germaniche e fasciste, che erano asserragliate in città a presidiarla), la popolazione civile stremata e decimata cercava di trovare riparo nei ricoveri (caverne sotterranee, che esistevano sotto ogni palazzo di Napoli), ricavati dagli scavi delle pietre estratte dall’immenso patrimonio tufaceo, di cui la città partenopea era ricca.
Anche Chiaiano aveva i suoi ricoveri, che erano situati nelle grotte delle cave chiuse, adiacenti la grande fossa, detta “‘O Monte de’ Cane “, un baratro profondo circa 100 metri e largo una cinquanta di diametro, per raggiungere il fondo esisteva una scala a chioccia, che girava tutt’attorno alle pareti in forma circolare, che la delimitava. Le grotte si trovavano all’inizio della selva di Chiaiano, nella zona delle Gesine, all’inizio del sentiero, detto Mieze ‘e Tre vie, nascoste dentro una fitta vegetazione di alberi di castagno.
Quindi tutta la popolazione del borgo era assiepata all’interno delle grotte nell'attesa da un momento all’altro di un attacco finale di una grande incursione aerea.
Intanto sotto gli attacchi sempre crescenti ed apocalittici nacque il sottoscritto fra la gioia oltre dei suoi genitori, anche dell’intera gente dei rifugiati, era il 29 luglio dell’anno 1943 e la sua nascita fu festeggiata con una gran mangiata d'anguria napoletana, (angurie rosso fuoco, che erano vendute dal giovane, " ‘O Scianno ", alias Giovanni Rusciano, -meglio conosciuto come
" 'o frate 'e Eugenie 'o sagrestane 'e Poreche ", che le ritirava dove erano coltivate da un Parzunale della masseria delle Cesinelle).
Intanto il terrore dei bombardamenti e le rappresaglie tedesche erano arrivati al culmine, dopo i proclami del colonnello Scholl (Comandante a Napoli delle truppe tedesche), che ordinò lo stadio d’assedio, minacciando feroci rappresaglie per gli inadempienti, che non avessero ottemperato ai suoi proclami, (come quello che tutti gli uomini validi si dovevano presentare nei vari comandi nazifascisti dislocati in città per essere istradati a lavorare in Germania) i contravventori sarebbero stati fucilati all’istante.L’altro proclama non meno barbaro era il piano di sterminio per far diventare tutta Napoli (Fango e Cenere), perciò, si doveva procedere a far saltare gli ultimi depositi di benzina, a distruggere i pochi stabilimenti siderurgici rimasti illesi dai tanti bombardamenti ed, infine, a minare le strade principali e tutti i ponti, che portavano fuori città, in modo da rallentare l’avanzata delle truppe degli alleati (Anglo Americani), come era richiesto dal Field Maresciallo Kesselring per volontà diretta del Fùrher.
I misfatti delle truppe tedesche in quei tristi momenti, raggiungono tutti i quartieri della città, anche Chiaiano ed allora si organizzò, anche qui, un gruppo d'insorti, formato da giovani soldati riformati, reduci od in licenza, come lo era in quel periodo Guglielmo Chianese, alias Sergio Bruni, che si trovava in licenza, (era in forza al Novantesimo Reggimento Fanteria d’Istanza a Torino).
Il nostro Sergio Bruni con una decima di giovani del posto si procura le armi necessarie ed il 29 settembre, il gruppo da lui capitanato, riesce a togliere e disinnescare le mine, poste dai tedeschi, dal ponte di Chiaiano.
Sulla strada del ritorno a casa l’improvvisata squadretta di guastatori nostrani s’imbatté con una pattuglia tedesca ed il nostro, Sergio Bruni, fu ferito gravemente ad una gamba, che lo renderà claudicante per tutta la vita, ed alla bocca , producendogli una cicatrice sulle labbra per un colpo ricevuto di striscio. La tempestività dei compagni di lotta gli salva la vita, perché, afferrata una "carrettella", corsero attraverso Via Margherita fino all’Ospedale Principe di Piemonte, l'attuale ospedale Vincenzo Monadi, dove gli fu praticata assistenza medica amorevolmente e dove conobbe poi la sua anima gemella, la signorina Maria Cerulli, che sarà la sua paziente compagna per tutta la vita e con la quale metterà al mondo quattro figlie.
Un aneddoto che desidero ricordare del Dott. Giovanni De Marino, il medico condotto di Chiaiano, è che si prodigò con tutte le sue forze ed esperienza ad alleviare le fitte e le sofferenze di mio padre, operato d’urgenza da lui stesso, di un’infezione di un favo ad una spalla durante un bombardamento. Il giorno dopo lasciando la propria famiglia, si recò presso il letto del mio genitore, dichiarando.
“Ma che te credive, ca m’ere scurdate ‘e te! Ie a te penzave,e nun te veneve a medecarte “!
Mio padre si sentì cosi rinfrancato e sollevato, che quel gesto, così umano e caritatevole, non lo dimenticò mai più, anzi lo ripeteva fino alla noia per esaltare le virtù non sole terapeutiche del Dott De Marino, ma per additarcelo come un vero grande uomo, paragonandolo come un santo protettore.
Negli anni novanta nel Consiglio di quartiere di Chiaiano alla proposta della fazione opposta a quella da me rappresentata, di intitolare una strada al compianto Dott. De Marino non mi opposi anzi mi adoperai per farla votare all’unanimità, e così avvenne, mentre rigettammo quella di far lo stesso per il Comm. Lamberto Bunel, uno degli ultimi sindaci di Chiaiano, che a mio sapere e conoscenza si era macchiato d'intimidazioni ed abuso di potere nei confronti dei cittadini meno abbienti e bisognosi.
Anche se non dotto come il De Marino, desidero ricordare ai posteri, la figura di Luigge ‘ O Zaine, de’ Calure ‘e Vasce, alias Luigi Ruggiero ('o Comuniste), che nella sua ignoranza, era convinto di conoscere la vita e comprendeva i fatti, che accadevano, poiché aveva una fede incrollabile nel Comunismo, era un fanatico ed acceso comunista con i suoi baffoni alla Stalin. Le sue convinzioni erano così forti che non disdegnava di manifestarle specie durante il fascismo male estremo dell’umanità.
L’unica speranza per lui era il Comunismo per far cambiare l’esistenza, fatta da sempre di ingiustizie e sopraffazioni delle classi dominanti, dei padroni, dei nobili. Fu un instancabile difensore dei deboli, degli operai e si batte con tutte le sue forze contro i fascisti ed i tedeschi, difendendo Via Margherita dai guastatori nazisti, che volevano farla saltare.
Difese i suoi compagni “ ‘e Muntesi”, ossia cavapietre, operai che lavoravano estraendo pietre di tufo dalle cave disseminate dappertutto nella selva, per conti di vari padroni, che volevano spadroneggiare senza pagare il giusto dovuto al quel pesante, pericoloso e monotono lavoro.
Per arrotondare il suo reddito esercitava un’attività secondaria, quella del Taverniere, anche se il luogo dove vendeva il vino, non era né una bettola , né un taverna, ma la sua abitazione a Calori di Basso, con vino di produzione propria, che a prezzo modico offriva ai viandanti, che si recavano al borgo di Santa Croce od a quegli operai, che, terminato il loro lavoro dall’Ospedale Monaldi o dal Cardarelli, si ritiravano a casa, a cui non dispiaceva una piacevole sosta facendosi un quartino di quello buono di Luigge.
A questo punto facciamo un po’ di chiarezza sul soldato tedesco ucciso a sangue freddo nella nostra contrada, volutamente dimenticato per quest’assurda esecuzione, che, si sarebbe potuto evitare, per non sentirsi in colpa, anche se esistono tutte le attenuanti del caso e del periodo.
La domanda, che ci si pone dopo tanti anni trascorsi, a mente fredda: si poteva farne a meno? Così si è macchiato un periodo storico delle vite cittadine del borgo, facendo passare dei delinquenti comuni, chi tentava di difendere il proprio territorio dalle rappresaglie naziste del colonnello Schol, che auspicava di voler fare terra bruciata, dopo la forzata ritirata dopo l’insurrezione di Napoli durante le Quattro giornate per concentrarsi per una migliore difesa lungo gli altopiani di Cassino. Il fattaccio ha inizio dopo il ferimento di Sergio Bruni, per il disordinato ritiro verso l’entroterra dei militari tedeschi, lungo la Strada Santa Maria a Cubito all’altezza di Terravicina, dove era ubicato l’osteria “ ‘e Cape ‘e Cecce”
Via S.Maria a Cubito entrata di Campodisola a Terravicina |
da dietro la siepe, che l’affiancava, una pattuglia di giovani partigiani lì appostata, armati di soli moschetti per contrastare il ritiro degli ex occupanti nazisti per non fare loro commettere ulteriori danni e rappresaglie. Era il pomeriggio del 1* Ottobre del 1943 lungo la strada “La Via Nova”, così era indicata quel tratto della Santa Maria a Cubito in località Terravicina, s’intravide un Sidi-car con a bordo due militari tedeschi con compiti di ricognizione, che doveva raggiungere il presidio militare di Mugnano di Napoli, dove era ubicato il comando strategico della difesa ad oltranza all’avanzata degli alleati, dopo aver intimato l’alt da parte della piccola pattuglia partigiana, formata da ‘o Storto, ‘o Surde, ‘o Vurpare e da ‘o Scunceche, non fermatasi, s’intraprese un'aspra sparatoria, che terminò con l’uccisione del militare tedesco, che guidava la moto e la resa di quell'occupante il sediolo carrozzina del Sidi car.
Non avendo specifiche direttive sul da farsi, se non quella di presidiare la postazione e controllare l’andirivieni degli spostamenti dell’esercito tedesco, dopo un conciliabolo improvvisato, i quattro spontanei, improvvisati partigiani, presero una prima decisione di far scomparire il morto ed il motociclo Sidi car, scaricandoli nel fossato del ponte di Chiaiano-Mugnano, in modo che se ne fossero perse le tracce, mentre per l’altro militare arresosi, si pensò di tradurlo alla locale caserma dei Carabinieri per consegnarlo, come prigioniero, all’autorità ancora esistente in quel momento, il maresciallo dell’Arma della Benemerita.
Con le mani alzate gli intimarono di andare verso la Purchiera, da dove proseguirono poi attraverso Via Ponte (oggi Via Aldo Cocchia) tagliando per Via Arco di Polvica e raggiungere definitivamente la piazza di Polvica, dove era ubicata la Caserma dei Carabinieri, per consegnare colà, nelle mani del comandante dell’Arma, il soldato tedesco arresosi. Con ampi gesti, il prigioniero implorava, profferendo un italiano sgrammaticato, d'essere si, un soldato dell’esercito tedesco, ma era di nazionalità austriaca ed era ammogliato e padre di due figli.
Sotto lo sguardo atterrito di ragazzi e gente comune, il prigioniero tedesco fu condotto a Polvica nella caserma dell’Arma con l’intenzione di consegnarlo al Comandante e così per spossessarsi dell’immane preda, capitata a loro e perciò i volenterosi improvvisati partigiani non erano pronti, né addestrati per quel tipo d'impresa bellica.
Alla vista del prigioniero il maresciallo, il capo incontrastato dell’arma, si rifiutò di prenderlo in consegna, dato il periodo transitorio di quel particolare momento bellico senza alcuna direttiva di organismi istituzionali riconosciuti, adducendo pericoloso affrontare a viso aperto il nuovo nemico tedesco dopo l’armistizio dell’otto settembre del 1943.
Dopo il rifiuto del Maresciallo, i quattro partigiani presero la decisione di portare il prigioniero nella selva e li farlo sparire. Intanto per non percorrere strade principali, inforcarono il sentiero della Fondina attraverso Via Barone, che portava alla Masseria detta del Barco. Giunti all’inizio della Via Toscanella nei pressi della cappella, ormai abbandonata, detta della Madonnella, legarono il prigioniero ad un albero, che era dietro la chiesetta nell'attesa di parlamentare con il Padrone della Masseria, il vecchio Del Barco, per chiedergli il permesso di tenerlo prigioniero nel pozzo, che era lì accanto.
L' anziano massaro, don Giovanni, scosso per la richiesta, li cacciò con mali modi e li invitò ad andarsene dalla sua terra con il soldato tedesco, rappresentante, in quel periodo, un pericolo per l’incolumità sua e della propria famigliola, non desiderando esporsi alla rappresaglie dell’esercito germanico in rotta, che non avrebbe sentito ragioni a punire chi li ostacolava o chi li combatteva.
I quattro, scacciati e sconsolati, si convinsero di tradurre il prigioniero nella vicina selva e sperderlo e così fecero. Senza altri tentennamenti sì incamminarono decisi attraverso la cupa, confinante la terra di Andriucce (Rusciano) e si portarono nei pressi del cimitero all’altezza del Monte dei Cani e di lì proseguirono sul piazzale antistante il palazzo del Munaciello,(‘ncoppa ‘a Saurella). Il prigioniero, intanto andava ripetendo, che lui non era tedesco e nulla c’entrava con la ferocia nazista, anzi n’era anch’egli una vittima. I nostri improvvisati partigiani, non si fecero per nulla commuovere, né impietosirsi e presi da una tremenda paura di essere scoperti da lì a poco dall’esercito nazista, si vollero sbarazzare dell’ingombrante preda bellica e decisero di buttarlo giù al pendino dall’alto della scarpata sottostante piazzale Savorelli. Prima di spingere il prigioniero giù, lo tramortirono a calci di fucili e moschetti, finché il malcapitato perse i sensi e cadde senza dare segni di vita nel castagneto sottostante, in un viottolo all’altezza del ponte delle Gesine.
Fu una scena agghiacciante e del misfatto ne venne immediatamente a conoscenza l’intera cittadina. Solo un certo “ Vicienzo ‘o Scarafone, (al secolo Vincenzo Riccio, fratello di Raffaele Riccio, noto come Raffaiuolo fattore della Paratina dei signori De Simone, che portava un paio di baffi alla messicana come i dolci chiamati raffaiuoli ) si seppe che ebbe pietà del malcapitato, e , sotto una pioggerellina autunnale verso sera, andò alla sua ricerca per portargli aiuto, se ancora potesse averne. Quella sera non vi riuscì, ma l’indomani, di buon mattino rovistando tra i folti cespugli e tra i cumuli di foglie di castagno trovò il cadavere del povero soldato tedesco, con il corpo sfigurato, perché forse azzannato da qualche volpe o da qualche animale notturno o da qualche serpente, che infestavano di notte da sempre la selva. Con gran fatica se lo caricò sulle spalle e lo portò nel quadrato del cimitero, per dargli poi una cristiana sepoltura. Vi riuscì con gran difficoltà trovando l’ostilità del guardiano ed assumendosi ogni responsabilità lo immise nell’Ossuario Generale, dove riposa oggi anche lo stesso Vicienzo ‘o Scarafone.
Questa è la vera storia ricavata dalle testimonianze raccolte dai nostri genitori, parenti ed amici.
Sono passati tanti anni, mi domando oltre alla vigliaccheria del Maresciallo dei Carabinieri, che poteva salvare il soldato tedesco, e quanti che potevano e non lo fecero? La Chiesa dov’era? Dov’erano le cosiddette persone per bene?
A voi che leggerete questa vera storia di guerra del 1943 la risposta.
Fu solo paura o spirito di conservazione! La colpa di tutto fu la guerra, il fascismo, il nazismo.
Cimitero di chiaiano dove riposano i resti del soldato tedesco ed i resti di vincenzo 'o scarrafone |
Continuerà appena possibile con altri capitoli
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