sabato 29 novembre 2008

Storia di Chiaiano - 12 punt/ e Trasporte


Capitolo diciassettesimo




I Trasporti Pubblici negli anni 50 fino
ai nostri giorni


Gli abitanti di Chiaiano, dediti per lo più all’attività rurale ed estrattiva, come le pietre di tufo dalle cave della zona, prima della seconda guerra mondiale, creandosi dopo il risanamento edilizio e sanitario, anche un certo sviluppo industriale, si concretarono dei poli industrializzati produttivi per le tante necessità della vita quotidiana, dove necessitava maggiore forza lavoro, perciò, anch’essi, allettati da un sicuro guadagno, lasciarono le campagne e le cave estrattive, dove il lavoro era più faticoso ed incerto, perché legato ai capricci dell’atmosfera e della natura del sottosuolo.
 Per raggiungere questi benedetti poli nuovi, dovevano, però, spostarsi dal loro quartiere per raggiungerli velocemente ed avevano bisogno di un servizio di trasporto pubblico efficiente ed ogni giorno necessitavano di mezzi di locomozione pubblico per essere puntuali presso il fatidico nuovo posto di lavoro.
Il primo sevizio Pubblico dei trasporti per Napoli Nord e dintorni si ebbe grazie alla “Società Anonima dei Tramways , con sede a Bruxelles” nel lontano 1887, ricordata a Napoli come ( ‘e Tramme do’ Belge), che cambiò denominazione sociale, dopo varie vicissitudine durate quasi tre anni, nacque così in Società Anonima Tranvie di Capodimonte, con l’acronimo “ TN” cambiato poi in "TC". II servizio dei trasporti della linea interurbana vero e proprio iniziò il 2 dicembre 1900 con le tratte Garittone – Bivio Mugnano – Bivio Marano - Giugliano. Prima di quella data esisteva un piccolo tratto che permetteva di raggiungere il Museo da Capodimonte nell’ambito urbano, biforcandosi in attesa del prolungamento verso Miano, Linea 1 Napoli (Museo) a Porta Grande e la Linea 4 Napoli (Museo) fino al Garittone. La linea interurbana a trazione elettrica fu completata nel 1910 con le Tramvie dette di Capodimomte, che s’identificavano con la seguenti tratte:
Percorso delle linee tramviarie della zona Nord dette ( 'e tramme do' belge)




                                                                                                                                                                                                 




I tramvay  al primo stazionamento alla salita di santa Teresa



    Napoli  ( dintorni -  fermata del tram a San Rocco)
                                                                                                                                       



 
         


Linea - 1 - Napoli (Museo) a Porta Grande (tratto urbano)
Linea - 2 - Napoli (Museo) a Miano (tratto urbano)
Linea - 3 - Napoli (Museo) a Giugliano (tratto interurbano)
Linea - 4 - Napoli (Museo) a Marano (tratto interurbano)
Linea - 5 - Napoli (Museo) a Secondigliano (tratto urbano)
Linea - 6 - Napoli (Museo) a Piscinola (tratto urbano)


A completamento dell’intera rete si ebbero alcuni tronchi come le tratte servite : con navette come quella da Bivio di Mugnano a Mugnano (centro) e da Bivio di Marano a Marano (centro).

Nel 1929 Società Anonima Tranvie di Capodimonte, con l’acronimo “ TN” cambiato poi in “TC”, fu assorbita dall’Azienda Trasporti Comunale di Napoli (ATCN) che unificò sia la rete urbana che suburbana tranne le linee provinciali (SATP). Con L’unificazione dell’intera rete si ebbero benefizi sulla maggiore frequenza dei Tranvai a trazione elettrica, e per evitare confusione, la numerazione delle linee fu modificata nel modo seguente per ciò che riguarda la zona nord.



     Tram presso il corso Amedeo di Savoia










     Tram che sta entrando nel Deposito del Garittone


         


Linea 37 Napoli (P.zza Dante – Secondigliano)
Linea 38 Napoli (P.zza Dante – Piscinola)
Linea 60 Napoli (P.zza Dante - Giugliano)
Linea 61 Napoli (P.za Dante - Marano)
Linea 62 Napoli (P.zza Dante - Mugnano)


Linee " 60/61" note come Navette varie, che ugualmente raggiungevano Napoli ( P.za Dante) ma facevano capolinea sostandovi a Marianella – a Chiaiano – a Calvizzano sfruttando le coincidenze con i binari di raddoppio, solo durante il mattino all’ora di punta, (la famosa corsa operaia) per la massa imponente di viaggiatori.
Autobus operanti  nel dopoguerra

 
Intanto alle tranvie iniziarono a fare concorrenza gli autobus sugli stessi percorsi negli anni 1952 e a causa dello sprofondamento della strada - Corso Amedeo duca di Savoia -all’altezza dell’ex stabilimento della birreria Peroni presso il Tondo di Capodimonte, dovuto ad infiltrazione dell’acqua piovana, incanalata ed imprigionata male nel sottosuolo del vecchio alveo proveniente dalla collina dei Camaldoli, fu delimitato l’intera linea tranviaria fino al Tondo, provvisoriamente in attesa della sistemazione del dissesto idrogeologico stradale. II proseguimento al terminale capolinea di Piazza Dante fu sopperito dall’istituzione di una “Navetta dei Comuni del Nord” con un autobus recante la numerazione 164
Corso Amedeo di Savoia fino a P.za Dante ed il collegamento dal Tondo (Capolinea dei tram, provenienti dalle tratte del Nord) proseguì poi con un filobus
Filobus in servizio nel dopoguerra  fino ad oggi


Filobus , chiamato navetta che
 collegava Tondo di Capodimonte fino a Piazza Dante



 contraddistinto dal numero 250 e rimarrà tale fino alla completa dismissione di tutte la rete delle tratte filotranviarie che avvenne definitivamente il 15 marzo 1960.





 Modello classico di autobus nel dopoguerra



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Il Servizio assume una nuova fisionomia con l’istituzione di linee automobilistiche sostituendo le antiche tratte filotranviarie, con il 160 per Giugliano, 161 per Marano,162 per Mugnano e 163 per Calvizzano.
Dopo insistenti richieste delle popolazioni di cittadini di Chiaiano e Marianella impossibilitati a poter ulizzare tali autobus perchè sempre affollati, si sperimentò che l'autobus recante il numero 162 , prima di raggiungere Mugnano  passasse prima internamente al Corso Chiaiano fino a Piazza Nicola Romano e poi proseguire per  il suo effettivo capolinea di Mugnano.
Solo nel 1955, Chiaiano ebbe il suo autobus, il nr. 111 barrato, che giungeva attraverso Via Foria al capolinea di Piazza Garibaldi, proprio sotto la statua dell'eroe dei Due mondi.
La predetta linea procurava non poca confusione ai viaggiatori con l’altro 111 delle tranvie provinciali, che collegava il centro a Secondigliano, per cui fu gioco forza inventare una nuova numerazione per evitare il disguido con le autominee nr 127, quello nero e rosso, che facevano capolinea a Piazza Garibaldi, (proprio sotto la statua dell’eroe dei due mondi) e raggiungevano rispettivamente il primo, (127 nero Chiaiano nella piazza Nicola Romano), mentre il rosso sempre 127 giungeva giù a Marianella. Si è proceduto così per tutto gli anni ’70 e ’80 e poi è riformato tutto, numerazione e percorsi, perché con i primi tronconi, realizzati negli anni ’90, partendo da Piscinola passando per Chiaiano ed il Vomero , ci si collega col centro con la Collinare, (Metrò in parte su strada sopraelevata, in parte sotterranea).
E’ iniziata un’altra epoca, quella del 21° secolo, dove si corre, si va veloci, credendo di accorciare con il minor tempo impiegato le distanze.

Metrò Collinare - Stazione di Chiaiano - Marianella



Treno della  Metrò Collinare

E’ solo una mera illusione, perché dimentichiamo di osservare le diverse meraviglie della natura che ci circondano e che una volta c’inducevano a meditare ed a fantasticare.
Il secolo scorso è stato nel suo ultimo scorcio un progresso tecnologico simultaneo caotico, irrefrenabile, che ci ha tolto il gusto di capire dove si va a parare se è veramente quello che auspichiamo o è solo acquiescenza passiva, che così deve andare.



Continuerà con nuovi capitoli appena 
                       possibile
E’ gradito un commento per 
           incoraggiare a proseguire.

domenica 23 novembre 2008

Storia di Chiaiano - 11 Pun/ Festa PCI

Capitolo sedicesimo



Le feste annuali pubbliche oltre quelle parrocchiali


La festa del Partito Comunista Italiano 
della locale sezione si Chiaiano


Nei primi anni cinquanta, gli abitanti del quartiere di Chiaiano iniziavano a riprendere la consueta vita paesana, pur facendo parte della popolazione cittadina, mischiandosi agli altri quartieri, sia per il lavoro, vuoi per frequentare le scuole superiori e l’università.
Erano iniziate con regolarità le corse del trasporto con i tram ('e Tramme), l’acqua non aveva più delle sospensioni a raggiungere i fontanili di acqua potabile pubblica per l’efficienza dovuta alla manutenzione, più qualificata, dei Fontanieri reduci dell’acquedotto napoletano, la luce elettrica non aveva bisogno più di bay-pass di cavi vecchi, usurati e rattoppati, perché nel giro di pochi mesi il vetusto apparato di fili di rame elettrici aerei sottili, furono sostituiti con cavi più grandi ,più resistenti e con maggior potenza.la potenza dell'elettricità passò dal 125 volt. 250 volt.
Le mini-privazioni del primo dopo guerra pareva fossero finite, si respirava un clima più sereno, si sognava un avvenire scevro dalle continue paure e volava nell’aria la speranza di un benessere collettivo, (periodo percepito da tutti, stavamo entrando nella fase del cosiddetto Boom Economico), e vivevamo l’effetto benefico dell’aiuto delle risorse che ricevemmo dall’America per la ricostruzione.(L’ “ E.R.P.” Ente Ricostruzione Europea – noto come il “Piano Marshall”, che condizionò non poco la politica del nostro paese, subendo il ricatto che, se fossero andate al potere le sinistre, sarebbero cessati gli aiuti economici)
Etichetta presente sulle confezioni degli aiuti



Ci furono le prime elezioni per il consiglio comunale post proclamazione della Repubblica e sebbene la coalizione di Sinistra (comunisti e socialisti) ebbe un buon successo elettorale, fu eletto un sindaco di estrazione Monarchico-liberale, un certo Prof. Giuseppe Buonocore, voluto dall’allora Cardinale di Napoli, Ascalesi, che, alla seduta per la votazione per l’elezione del Sindaco, non fece partecipare  gli eletti consiglieri democristiani e quelli presenti in aula, si astennero  (pur avendo preso parte anch’essi alla lotta partigiana per liberare la città durante le 4 giornate) e per due soli voti (27 a 25) vinse il Buonocore, 
 Giuseppe Buonocore
il sindaco di Napoli dal 12/12/1946 al 28/2/1948
del Blocco Nazionale della Libertà


 


con i consensi dei soli monarchici, dei liberali e i seguaci del Partito Uomo Qualunque, che era contrapposto a Gennaro Fermariello, del Partito d’azione, il candidato delle sinistre unite, già sindaco di transizione dopo la cacciata dei fascisti.
Come nell’ottocento ed all’inizio del novecento, prima dell’avvento del fascismo, Napoli e tutti i suoi quartieri lontano dal centro storico, come Chiaiano, erano considerati (la periferia) quartieri dormitorio dell’entroterra rispetto al centro città, e quindi vissero in un completo abbandono e arretratezza. Si dovettero fare grandi battaglie per riuscire ad avere qualche minimo servizio, come aver qualche carrozza aggiuntiva ai tram per permettere ai Chiaianesi viaggiatori di raggiungere     i posti di lavoro, che erano tutti concentrati al centro, specie, quelli statali, comunali e nelle banche. Quindi il raggiungimento del centro era quasi un'avventura, sia   la mattina quando si doveva raggiungere il posto di lavoro e sia la sera per il ritorno a casa; la cosa diventava, poi,  un vero sacrificio specie per tanti giovani che dovevano frequentare le scuole superiori, che erano ubicate solo in centro città. 
 
 Il tram, unico mezzo di trasporto 
                                                    operante negli anni 1946 al 1960


















Era un piccolo viaggio, che durava da un’ora ad un’ora e mezza mediamente (immaginate lo stress). La mattina era un calvario, ci si ammassava, come non mai, in vagoni con pochi sedili di legno scomodissimi, che non permettevano di potervi accedere facilmente data la folla dei viaggiatori, che si accalcava, per ciò, ci si era costretti ad aggrappare, per non perdere la corsa, spesso, allo staffone, (Stanga di ferro sopra le ruote del tram, che circondava l’intero classico ferrotrasporto cittadino. Mancava spesso la corrente elettrica, che alimentava i motori elettrici del tram per mezzo del trolley (‘o trolle) e si era costretti ad assistere ad interminabili soste senza poter né andare avanti, né indietro. Con questi vetusti mezzi di locomozione (erano gli unici veicoli per raggiungere il centro) non si poteva procedere all’utilizzo di vie alternative per ovviare al disservizio, e quindi s'inveiva solitamente contro tutto e tutti e così aumentava il malcontento.
Intanto la vita procedeva oltre, con tutte le difficoltà, perché si aveva bisogno di dimenticare le nefandezze e le privazioni della guerra, per ciò si procedeva a far vivere le feste padronali di San Nicola a Polvica nella Piazza Nicola Romano e quelle di San Giovanni e San Raffaele a Chiaiano nella Piazza Margherita nel periodo estivo. A seguito del successo elettorale del 1950 si tenne anche la prima festa dell’Unità, organizzata dalla locale sezione del Partito Comunista Italiano, nella Piazza di Polvica, denominata da quel momento la Piazza rossa, dove anche  era ubicata la Sezione - sede del partito. Appuntamento annuale, che si terrà fino al 2000, divenuta negli ultimi anni, però, non più festa dell’Unità, ma dall’anno 1992 festa della Liberazione e si sarebbe tenuta non più in piazza, ma all’interno dei viali della scuola Elementare Giovanni XXIII al Corso Chiaiano, dopo che nel 1991 si sciolse il Partito Comunista Italiano e nacque quello della Rifondazione Comunista.
Quanto impegno profondevano i militanti di quel Partito (i compagni comunisti, tra i quali a ben ragione mi posso annoverare pure io) nell’organizzare la festa al pari di quelle dell’Associazioni Patronali cattoliche, promovendo questue nelle ore post-lavoro e nei giorni festivi per procacciarsi i fondi avvicinando tutti, semplici cittadini e commerciati locali per allestire un ricco spettacolo musicale canoro con tanto di palco e riuscire ad addobbare ugualmente le strade, come era solito durante questo tipo di feste con tante illuminarie per tutto il quartiere, che terminavano con un rosone con l’insegna della Falce ed il martello. Era uno spettacolo di festa voluto dal popolo, che inorgogliva gli iscritti ed i simpatizzanti Comunisti, ma che coinvolgeva l’intera cittadinanza facendola partecipare alle ampie discussioni di politica cittadina e nazionale di quel periodo, quali come avviare il risanamento, la ricostruzione, come creare lavoro, come qualificare la scuola, come prepararsi al Patto Atlantico, alla pace, ad evitare la guerra fredda tra l’america e la Russia, (discussioni impensabili prima di allora tra la gente comune)
Nel 1952 anche i monarchici vollero imitare i comunisti e senza alcuna preparazione in occasione della vittoria del comandante Achille Lauro a Sindaco di Napoli, che per ringraziarsi il popolo, che gli aveva dato un ampio consenso, regalò in ogni quartiere, anche a Chiaiano, una serata di spettacolo con un concerto vocale e strumentale, che finanziò personalmente e che si tenne nella Piazza Margherita ( miez’ ‘o furne) in una domenica del mese di ottobre, allestito alla meglio su un camion, divenuto all’occorrenza palcoscenico, dove si esibivano di volta in volta cantanti d’ambo i sessi accompagnati da una orchestrina all’uopo raffazzonata.
Anche se fu accettata dalla cittadinanza con soddisfazione, perché era pur sempre uno svago ed uno dei pochi momenti d’intrattenimento collettivo, dato che nella nostra Chiaiano in quel periodo non v’era nulla, neanche una sala cinematografica, fu ugualmente un successo, soprattutto per le ottime esibizioni canore..



Continuerà con nuovi capitoli appena possibile
E’ gradito un commento di incoraggiamento a proseguire.

lunedì 17 novembre 2008

Storia di Chiaiano - 10 Punt/ Giuoche dei maschietti


Capitolo quindicesimo




Chiaiano nel dopoguerra come si giocava in quegli anni quotidianamente

Continua  i giuochi praticati

O Zecco, ’O Sott’ ammure, Dint’‘o cerchie, erano giuochi, che utilizzavano come accessori per praticarli, appena dopo la guerra, delle monete antiche del primo novecento, quelle dell’ex Regno d’Italia (chiamate per comodità soldi (‘e sorde), i 10 cent di rame o 10 cent d'ottone (‘e due sorde)




              
moneta da 10 Cent.  tipo  "ape " di rame  dal Dritto, detto pure ( 2 soldi)
        
 



moneta da 10 Cent.  tipo "impero" dal Dritto di ottone (2 soldi)


Retro delle monete da 10 cent sia di rame che di ottone


 Poi appena furono coniate quelle della Repubblica, non più centesimi , ma le lire, come la cinque e la dieci, soppiantarono quelle del vecchio regime.
Generalmente le monete da 10 cent. 
erano usate come ('a Ndacca), monetina personale per svolgere il gioco. 


moneta da 20 Cent. tipo impereo in acmonital antimagnete ( 4 soldi)
  
La più importante monetina, utilizzata per questi giuochi, era la 20 Cent. (‘o quatte sorde). Era la più richiesta e perciò era considerata il miglior valore di scambio e possederne un buon quantitativo era considerato un’ottima dotazione, (era stata coniata con una lega di acciaio e cromo la prima volta nel 1938 in occasione della proclamazione dell’impero d’Italia e terminò con l’essere riprodotta nel 1942), come non si riprodussero più tutte le altre monete un vigore della deposta monarchia, finché proclamata la Repubblica cessarono di avere corso legale
.         
La nuova monetazione fu coniata, non più con l’effige di re Vittorio Emanuele III, perché, non avendo più valore legale, non valevano più nulla, furono soppiantate con le nuove, che, stampate nel dritto con un’effige di una donna di profilo, che rappresentava la Repubblica Italiana, recavano sul rovescio come unità di valore le lire e non più i centesimi.
Esistevano monete del regno d’Italia anch’esse coniate in acmonital (acciaio e cromo antimagnete) con il valore facciale di 50 Cent.(‘a meza lire).
Moneta da 50 Cent. tipo "impero"  in acmonital antimagnete ( 1/2 lira)
                                                                                                                                                               
recante nella faccia del dritto sempre dell’effige di Vittorio Emanuele III e sul rovescio una aquila imperiale di profilo poggiata su un tronco d’albero, mentre la “Uno lire” anch’essa in acmonital (acciaio e cromo antimagnete) aveva nel dritto l’effige di Vittorio Emanuele III e sul rovescio una aquila imperiale con tutte le due ali spiegate aperte.
     


moneta da 1 lira tipo impero acmonital antimagnete              
                                                         
Entrambe queste due monete non erano ritenute utili negli scambi e perciò non valevano niente, anche se rare e quindi non facilmente reperibili.
I 20 Cent.(‘e quatte sorde) erano le monete, coniate anch’esse in acmonital, che si scambiavano meglio delle altre, perché ce n’erano in abbondanza e si potevano ancora trovare presso le persone anziane, (che non erano riuscite a cambiarle con le nuove monete con il conio della repubblica italiana) e le avevano conservate e le scambiavano solo con chi avrebbe procurato loro i 50 Centesimi (‘e meze lire),
Tipo di scarabattolo con il sistema d'illuminazione per l'aureola

                             


 necessarie per far scattare negli scarabattoli presenti nelle varie chiese della nostra Contrada, il sistema di illuminazione, che funzionava solo con quel tipo di monete, che permetteva l’accensione delle lampade poste davanti alle statue di Gesù e della Madonna, come corolle di fiori o come aureole messe sui loro capi.
Entriamo nel vivo del gioco dell" Azzecco,.
L’Azzeccamuro, detto anche “Ristornino” (‘0 Zecco) consisteva nel lanciare una moneta (antica o nuova) contro il muro e farla rimbalzare fino ad avvicinarla alla moneta precedentemente lanciata dal primo giocatore. IL secondo giocatore quando lanciava la sua ('ndacca)  quanto più possibile doveva farla cadere sopra (l'azzecco) o entro la distanza di un palmo, od uno Ziracchio dalla stessa. La moneta da tiro era scelta ed utilizzata dal giocatore, sia per la manegiabilità, sia per leggerezza ed era sempre la stessa, era detta (‘a ‘ndacca) fino a quando non era giocata come ultima risorsa, era di rame, solitamente era quella da 10 centesimi (‘o duje sorde)
Altro elemento importante per praticare il gioco necessitava un muro o una parte di parete, ben determinata, che si utilizzava per far rimbalzare la moneta.
Si sceglieva generalmente un muro di marmo o di mattone; invece a terra, il campo era illimitato, poteva essere un marciapiede in parte regolare, che avesse davanti uno spazio libero di vari metri quadrati.
Per iniziare si tirava a sorte per stabilire il turno e quindi il primo lanciava una moneta contro il muro facendola rimbalzare a terra. Il giocatore successivo doveva ,a sua volta, lanciare un'altra moneta tentando di farla cadere sopra o entro un palmo di distanza da quella dell’avversario e quindi aggiudicarsela.
Potevano partecipare anche più giocatori, se non si verificava l’azzecco, ossia al primo tiro le monete non si sovrapponevano e neanche s’avvicinavano alle (‘ndacche) tirate precedentemente entro il palmo o lo ziracchio della propria mano.
Per non creare difformità di misure, per il possesso di mani grandi appartenenti a qualche giocatore partecipante, si stabiliva in precedenza un'unità di misura uguale per tutti (‘a Pagliuca), rappresentata da un rametto, un filo di spago o qualcosa di similare per effettuare la giusta distanza tra le monete lanciate.
Giocando in due, il giocatore lanciatore vinceva una moneta, quando faceva l’azzecco con la “’ndacca” su quella dell'avversario e doveva poi ricominciare il gioco nel tirare quindi per primo. Giocando in più persone, il giro era continuo e chi perdeva il turno, o perché non azzeccava, o perché non si avvicinava, doveva sperare che la sua moneta non fosse azzeccata e quindi vinta. Vinceva chi tirando riusciva con un tiro alla volta ad azzeccare tutte le precedenti monete e si fermava, fin quando non avesse azzeccato, mentre il gioco riprendeva con il tiro d’un altro partecipante.
Poteva capitare poi, che, giocando in più persone, con un sol colpo si ottenessero vincite multiple; ciò accadeva se nel raggio di un palmo di quella lanciata per ultima, si trovassero due o più monete degli avversari.
Oltre le diverse tecniche d’impugnatura della moneta, c'erano anche vari tipi di tiro contro il muro. Il fattore più importante era il modo con cui la moneta arrivava a battere nel muro: di taglio rimbalzava di più, di faccia cadeva quasi a piombo. Oltre al Palmo della mano, che era la misura ricorrente, che era quella, che stabiliva lo spazio misurato tra il pollice e l’anulare con sovrapposto, il mignolo, c’era anche l’indicatore di misura, detto dello ZIRACCHIO, distanza di circa cm. 15, pari all'intervallo di spazio tra il pollice e l'indice della mano distesa. Nella fantasiosa metaforicità del nostro parlare dialettale con lo ZIRACCHIO,, s’identificò anche, l'individuo di bassa statura, il nanerottolo, l'omiciattolo. Il termine, Zeraic; deriva dall’etimo “misura corrispondente a quasi un palmo.
O sott’ a mmure, Dint’‘o cerchie, gli altri due giuochi, come detto poc’anzi, anche necessitavano di monete, antiche o moderne, come supporto per praticarli, e consistevano nel lanciare da una distanza di almeno tre o cinque metri una moneta la “ ‘ndacca” quanto più sotto al muro od all’interno di un cerchio. Vinceva dopo il lancio delle monete dei diversi giocatori partecipanti, chi s’era avvicinato di più al muro od era entrato nel punto di mezzo del cerchio.

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Un altro giuoco, che non costava e che serviva a dimostrare la propria abilità e capacità, era il lancio delle pietre (‘ a Petriata) e da lontano rimanendo colpiti con ferite ad ammacchi diversi.
Era una vera guerriglia generalmente si praticava per redimere una controversia tra due fazioni, tra due borghi (nel nostro caso tra i ragazzi del borgo di Polvica 

(‘e Purganise) e quelli del borgo di Chiaiano
 (‘e Chiajanise) che si misuravano con grandi rischi da essere poi colpiti dai sassi scagliati con tanta di strategia e destrezza da parte delle due bande, che s’affrontavano. Il campo di battaglia era di solito lontano dai centri abitati e si sceglieva per l’occasione un pianoro detto “Giù al Pendino“ (abbascio ‘o pennine) o l’altro pure nascosto e non frequentato molto, perché era, allora una strada secondaria, Via Margherita nel tratto, che andava tra Via Croce di Polvica e la Piazza Margherita (miez’’o furne), che era situata tra due muraglie, che contenevano ed attraversano delle zone di campagna.
Quelli di Polvica, adattavano la tattica di arretrare fino all’imbocco di Via Croce, e fatti salire sui muraglioni della strada di Via Margherita, dove alcuni partecipanti della parte polvicana potevano facilmente accedere, costringevano a mettere gli avversari, “i Chiajanesi”, in mezzo a due fuochi, da sopra i muri e da terra.
Ci si fermava, quando ci si faceva male seriamente e quindi si ricorreva dal Medico Condotto per curare le ferite riportate senza svelare mai il motivo, come si erano procurate.
I ragazzi partecipanti alla “Petriata” erano bravissimi nel lancio delle pietre, alcuni di loro erano capaci di lanciare prima la pietra in alto e poi prendendo a volo riuscivano a colpire il bersaglio prefissato con precisione. Dopo il ferimento di molti contendenti delle due fazioni durante le gare battaglie e la denuncia alla locale stazione dell’Arma dei Carabinieri dai rispettivi genitori, per far cessare quegli scontri, questo tipo di gioco pericoloso non si praticò più, ma nel ricordo collettivo è rimasta la filastrocca che si cantava invertendo i termini dello “Sfottò”, rispettivamente dalle fazioni di appartenenza :a
‘E Purganise jettene ‘e pezze a ’e Chiajanise,
‘e Chiajanise, se l’arrepezzene buone buone,
‘e Chiajanise so’ pezzancule e mariuole.


Durante la stagione invernale era di moda il gioco del " Pacchero”.
'O Pacchero, gioco per il quale occorreva dotarsi delle figurine di calciatori dette “‘e giucatore” o più semplicemente i giocatori, o anche pure “‘e litrattielle”, e si svolgeva picchiando con una botta tremenda schiacciata con il palmo della mano accanto al pacchetto delle stesse.
 
                                    
    

 Le figurine, per effetto del soffio d’aria generato dal Pacchero, che si rivoltavano erano vinte, conquistate. Nel poggiare il pacchetto delle figurine si poteva, specie se già vecchie ed usate piegarle al centro per far meglio prendere l’aria a seguito della botta impressa sul banco, o sul muretto (in casi estremi sul pavimento o sulla strada) con il palmo della mano.
La percossa (‘o Pacchero) poteva essere a palmo aperto (schiano) o raccolto (accupputo) (ossia con il palmo della mano formato come una conca raccolta, che permetteva così un soffio più forte e quindi utile a far ribaltare il mucchietto di figurine puntate in egual quantità dai partecipanti al gioco.
IL “Pacchero” riusciva meglio, se il colpo (per far capovolgere e ribaltare il pacchetto di riferimento), fosse prodotto su una superficie liscia o su un marmo.


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Oltre al Pacchero si giocava, anche durante la stagione invernale, con le figurine dei calciatori

       


 (‘e giocatore) che fungevano da dotazione, al ‘o Mucchiette od ’O Sette e Mieze con l’ausilio delle mini carte da giuoco classiche napoletane. ‘O Mucchiette consisteva nel puntare un quantitativo di figurine di calciatori sui tanti pacchetti creati coperti con le 40 minicarte da gioco napoletane. Sceltone uno a caso, ci si puntava sopra le proprie figurine e si vinceva (una volta girati i pacchetti) se risultava (quello puntato) avere la carta che era superiore a quello, che teneva di spettanza al banco del gioco o si perdeva, se fosse uguale o inferiore.
C’era, infine, un commercio molto fiorente tra noi ragazzi per accaparrarci il maggior numero di figurine di calciatori e perciò ce le scambiavamo, quando avevamo dei doppioni o ce le giocavamo per conquistarne il più possibile .
Negli anni cinquanta esistevano un tipo di figurina piccola (4 x 5 cm) stampata su carta leggera, molto morbida e porosa. Queste erano vendute in gruppi di dieci, tenute insieme semplicemente da una fascetta di carta velina colorata nelle cartolerie. Dieci anni dopo furono sostituite dalle diventate famose figurine PANINI, di dimensioni più grandi (circa il doppio), che erano di carta più consistente e raffiguranti i giocatori ritratti con colori più brillanti. Si vendevano o si acquistavano, poi commerciandole tra i ragazzi (Trenta figurine costavano Cinque Lire di allora, quasi Dieci euro d’oggi) e c’erano delle regole da rispettare, riconosciute da tutti, come quella che le figurine dei portieri valevano ognuna per cinque ed erano individuate oltre dal nome del calciatore, soprattutto perché erano sempre raffigurate con parate plastiche da dietro la porta. Le figurine classiche dei portieri erano : Sentimenti IV (della juventus), Bugatti (della Spal), Merlo(del Milan), Corghi (del Novara), Casario (del Napoli)


. Continuerà con nuovi capitoli appena possibile
E’ gradito un commento di incoraggiamento a proseguire.

mercoledì 12 novembre 2008

Storia di Chiaiano 9^ Punt/ giuochi di fanciulle

Capitolo quattordicesimo





Continua i giuochi praticati  a Chiaiano


come si giocava negli anni  del dopoguerra

C’erano anche i giuochi, che praticavano generalmente solo le femmine, o meglio le ragazzine, come:

Salto della fune

 
Salto della fune


 il salto della corda (‘a Fune),



Il gioco si svolgeva fra tante bambine, due di loro tenevano la corda alle due estremità facendola roteare, mentre le altre saltavano, ad una ad una fin quando non sbagliavano. Durante il gioco si cantava la litania: Arancio, Limone e Fragola e si ricominciava da capo. 
Per allenarsi a saper saltare ci si cimentava anche da sole facendo roteare la corda con le braccia attraverso il capo e contemporaneamente saltare.

Il gioco delle Vriccelle, ( noto pure come il giuoco dei sassolini) consisteva nel prendere cinque piccole pietre, dei sassolini detti “vriccelle” ed una un po’ più grande, detta “Pietra Mastra”.
Il giuoco delle vriccelle ( sassolini)

Le prime si disponevano a terra, entro un piccolo spazio prefissato, con un lancio misurato si lanciava la “pietra mastra” in aria e nel tempo di ricaduta si prendeva, con la stessa mano, una di quelle rimaste a terra, recuperando nel frattempo la pietra mastra prima che questa cadesse. Il gesto si ripeteva fino ad esaurimento dei “sassolini”(vriccelle), Nelle fasi successive si prendevano i "sassolini”(vriccelle) a due a due, poi a tre a tre, poi a quattro a quattro e poi a cinque a cinque. 
Chi sbagliava ricominciava dall’inizio.

Il gioco delle “Nucelle”, noto pure come la “Fossa” (‘o fussetielle)

Le nocciole utilizzate per il gioco delle Nucelle



 
Era un giocherello antico prettamente del Meridione, diffuso prevalentemente tra i ragazzi nel mondo contadino o rurale durante le feste natalizie e pasquali.
Occorreva per tale gioco una fossa di pochi centimetri scavata sotto un muro o sul pavimento e delle semplici nocciole (‘e nucelle), note a Napoli, come facenti parte dell’insieme delle noci e nocciole (‘e ciociole).
In partenza si stabiliva la vincita, che era generalmente del mucchietto delle stesse nocciole, (puntate in parti uguali dai partecipanti). Per procedere al gioco, che consisteva nel lanciare nella fossa, ad una certa distanza, la quantità di nocciole puntate e nello stesso tempo dichiarare che se fossero andate tutte dentro sarebbe stato lui il vincitore, come lo sarebbe stato, pure, se fossero fuoriuscite alcune in numero pari o dispari, avendolo dichiarato anzi tempo. Dopo il lancio se fossero fuoriuscite dalla fossa od in numero non dichiarato, il lanciatore perdeva la facoltà di un ulteriore tiro e spettava lanciare all’altro giocatore con l’identica regola. Il gioco terminava con l’esaurirsi della dote delle nocelle personali.
Bambala detta pure  " 'A Pupata"

Il giuoco della brava mamma (a mammarella) con l’aiuto del giocattolo diventato l’emblema per antonomasia del gioco delle bambine di tutti i tempi “la bambola” (‘a pupata).
Il gioco era l’imitazione per le bambine della propria mamma ed immaginavano di dover dirigere una casa con una famiglia, come fa una madre nella realtà.
Si servivano del giocattolo “le bambole” (‘e pupate) come se fossero figlie o di bambolotti, che rappresentavano i figli maschi.
S’apprestavano a pulire la casa, a cucinare su una finta cucina, a mettere a nanna l’immaginaria prole di bambole e bambolotti e con un finto succhiotto li allattavano persino alla stregua di una vera brava mamma di casa.
Era uno spettacolo meraviglioso, era come vedere una famigliola in miniatura, spesso completato con l’ausilio di mini-mobili (stanza da letto, soggiorno, sala da pranzo, piccole furnacelle con casseruole, scodelle e pentole).
A quell’epoca siamo nel dopoguerra (anni cinquanta fino ai sessanta, come me li ricordo) le nostre abitazioni erano povere e disadorne, così ad imitazione erano quelle delle piccole mamme in miniatura

La settimana, ('a Semmana),
Schema del gioco della settimana detta pure della campana




Schema disegnato con il gesso per terra
del gioco della settimana detta pure della campana


La settimana è un gioco antichissimo, diffuso su tutti i continenti, sia pure con una quantità infinita di varianti. È forse il primo gioco che i bambini e bambine fecero insieme. Si trattava, infatti, di disegnare col gesso per terra delle caselle (in genere 7) in alcuni casi come succedeva nell’androne del palazzo di Via Barone, al civico 19, dove abitavo da bambino, poiché era lastricato interamente di basoli, ce n’erano alcuni un po‘ sporgenti, che pareva messi a posta per apparire come un rettangolo di sei caselle per giocare la settimana. Una volta delimitato il campo di gioco, per lo più si trattava di sei quadrati più un arco. Il gioco consisteva nel saper saltare dentro i quadrati tracciati del rettangolo, a turno, di tutti partecipanti al gioco. Per prima cosa si doveva lanciare un sasso (‘a pastora) sorta di coccio di piastrella o mattone che doveva rimanere, come inizio, entro la prima casella, quindi saltare dentro e prendere con una sola mano il sasso (‘a pastora), che si era precedentemente lanciato nella casella segnata col numero uno e poi continuare a saltare sempre con un solo piede dentro le altre e tornare all'inizio.
Lanciare di nuovo il sasso (‘a pastora) nella successiva casella e ripetere sempre saltellando il percorso del campo da gioco delimitato e vinceva il bambino, che per primo riusciva a far cadere il sasso in tutte le caselle ed a completare il percorso senza mai toccare con i piedi le linee tracciate.
Esistono molti modi per definire questo gioco: mondo, campana, settimana, la luna ecc.


continuerà con nuovi capitoli  appena possibile
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