venerdì 31 dicembre 2010

Il Brigantaggio a Chiaiano


Il BRIGANTAGGIO A CHIAIANO





La selva di Chiaiano (  abbascio 'o Pennino)  Giù al Pendino




Via Fragolara, nei pressi dell'Ex della cava " 'O Monte de' Cani"







Una delle grotte detta del Brigante nella selva di Chiaiano





Da fanciullino nelle passeggiate, che facevamo nelle calde giornate estive,, durante l’estate chiaianese, insieme ai miei coetanei negli anni del dopoguerra, guidate dalle assistenti, (giovanette reclutate tra le giovani dell’Associazione cattolica locale, le signorine, Melina Pennino e Teresenella ‘e ncopp’ ‘o barone - alias Maione Teresa), sotto l’egida delle colonie estive per i ragazzi, (indette dalla parrocchia di San Nicola di Bari a Polvica e finanziate con i soldi, che attraverso la Pontificia Assistenza e, per conto dell’ERP - Ente della Ricostruzione Europea, furono stanziati dal Piano Marshal americano), per far trascorrere il periodo estivo ai molti ragazzi, che altrimenti sarebbero vissuti per strada, come tanti Lazzari. 
Procacciatore di quest'iniziativa assistenziale fu il sacerdote pro tempore della parrocchia, di San Nicola di Bari di Polvica, Angelo Ferrillo.
La maggior parte della giornata della cosiddetta colonia si trascorreva negli spazi contigui della chiesa o facendo nella mattinata lunghe passeggiate nella vicina Selva 
o meglio (dint’ ‘a Severa) percorrendo Via Croce, 
Via Margherita, lo spiazzale della Saurella e poi scendevamo ancora per la discesa della terricciolla ‘e Zi-Matalena , costeggiando la grande Cava profonda circa 100 metri, (o’ Monte de’ cane) Un baratro che dai bordo non si vedeva il fondo.
La denominazione di monte era l’antico nome delle cave, (da cui si estraeva il tufo) e dopo aver costeggiato il baratro, ci immettevamo nella strada sterrata, detta (Mieze ‘e tre vie), ombrosa per alcuni tratti per i lunghi rami degli alberi di castagno, che la coprivano, in modo da farla apparire quasi un tunnel. Ricordo che spesso ci fermavamo nei pressi del (’O Monte do’ Brigante), anch’essa una grande Cava, che a noi ragazzi appariva come una grossa Spelonca, perforata nella roccia della collinetta sovrastante. A quei tempi le cave si facevano al chiuso, dove si estraevano pietre di tufo giallo, e solitamente poi erano utilizzate per rifugi durante i mesi invernali, quando si verificavano abbondanti piogge e per l’altro validissimo motivo, quello di lasciare il bosco circostante rigoglioso di castagneti e per far continuare alla flora e alla fauna locale il loro ciclo vitale.
Quella grossa spelonca c’era indicata come “la Grotta del Brigante”, qualcuno per sentito dire, affermava che ci avesse soggiornato il brigante Musolino, e, noi ragazzi lo confondevamo con Mussolini, il dittatore fascista, per il fatto che ancora se ne sentiva parlare nelle nostre famiglie, si era negli anni cinquanta.
Solo ora, dopo aver raggiunto sessanta e più anni, sono venuto a conoscenza di chi veramente c’è vissuto in quel nascosto ricovero, divenuto famoso negli anni, appena, dopo l’unità d’Italia, poiché ospitò i patrioti del disciolto esercito borbonico, (i cosiddetti Briganti) che lì trovarono rifugio sottraendosi alle rappresaglie sabaude, indette dal generale Cialdini per volere dell’usurpatore Piemontese, il savoiardo Vittorio Emanuele II-
Di ciò che andrò a narrare e confermato dai racconti citati nel libro “I figli della Selva” scritto dal Generale Giovanni Baiano, parlando della grotta del brigante con aneddoti raccontatogli dal proprio nonno, Vicienzo ‘o Vurpiciello, che in quei luoghi visse dal 1880 al 1957, ed anche se non li conobbe personalmente, delle sue gesta sicuramente ne sentì parlare e tramandò ai figli ed ai nipoti la storia degli abitanti della Grotta del Brigante della Selva di Chiaiano, e dallo storico Maranese, Domenico Barberi nel suo libro “il Brigantaggio post-unitario a Nord di Napoli” e riportato nei suoi scritti storici sugli antichi casali del nord di Napoli di Carmine Cecere.






il ponte dei Gesini sulla strada " Mieze 'e tre Vie "


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Il Brigante della Selva di Chiaiano



Il brigante della Selva di Chiaiano, è subito svelato :
Era un certo, Alfonso Cerullo, il capo banda di un manipolo di uomini, circa una cinquantina ed in seguito un centinaio, ex soldati del disciolto esercito borbonico, che, non volendo sottostare alle vessatorie condizioni di resa di Gaeta, (siglate da Re delle Due Sicilie, Francesco II, alias Francischiello ed il Generale Cialdini, per conto del re sabaudo, Vittorio Emanuele II), si dettero alla macchia, altrimenti sarebbero stati rinchiusi nelle galere, sparse in tutto il territorio Italiano, specie in quello piemontese, che erano dei veri lager, come quelli, che divennero famosi, le famigerate “Finestrelle”, dove, che, se non si faceva atto di sottomissione alla sovranità ed alla sudditanza alla casa Savoia, si veniva massacrati senza pietà.


(ll Lager Sabaudo de "Le Finestrelle" la ciclopica cortina bastionata)


  (loc. Finestrelle in  Val di Chisone provincia di Torino)





Lapide Commemorativa posta in onore delle vittime
duosiciliane all'interno della fortezza

dove Questa crudeltà era dettata per evitare qualsiasi tentativo di far riorganizzare il disciolto esercito di Francischiello, e per tale motivo furono commessi genocidi ad intere popolazioni meridionali: come dimenticare “ PonteLandolfo e Casalduni il 14 agosto 1861” e tanti altri innumerevoli massacri a popolazioni inermi.
Alfonso Cerullo, nacque nelle fertili campagne di Marano di Napoli nel 1837 da padre contadino, Cerullo Salvatore, e da Angelamaria Napolano, casalinga.
Si arruolò giovanissimo nella Reale Gendarmeria Borbonica a cavallo, che aveva compiti d'ordine pubblico, forza armata della giustizia e vigilanza e sicurezza del territorio, ed all’età di ventisette anni rivestì il grado di caporale, che assolse con perizia e carisma, tanto che dopo la capitolazione di Gaeta, con il suo reparto, che era di stanza nella regione Abruzzi, ripiegò a Cisterna e da lì si diede alla macchia, non volendo sfruttare l’opportunità avuta di continuare il servizio militare nell’esercito di un nuovo Sovrano, di un altro Re.
Tornato nella sua Marano e conosciuto un sostenitore del deposto Regime, un certo Macedonio di Maria, che esercitava il mestiere di sarto e che asseriva che Re, Francesco II, sarebbe ritornato presto al suo posto, si fece convincere da quest’ultimo ad organizzare una rivolta per resistere all’esercito occupante piemontese.
Una prima banda di circa venti uomini a cavallo, il Cerullo la raggruppò fra gli ex soldati sbandati del circondario dei casali del Nord di Napoli, rimasti fedeli al loro giuramento e nostalgici del regno borbonico, e con essa iniziò a depredare i posti della guardia nazionale di Marianella, di Polvica, di Mugnano, prendendo i fucili e abbattendo lo stemma dei Savoia e distruggendo i ritratti di Vittorio Emanuele II e di Garibaldi.
Per rendere più clamorose le sue sortite, obbligava agli uomini di guardia dei presidi, che sorprendeva di gridare :“ Viva Francesco II e Maria Sofia, i veri reali di Napoli”
Questi inaspettati attacchi alle caserme ed ai presidi del disciolto Reale Corpo dei Carabinieri, che nel 24 gennaio del 1861 si trasformò in Arma dei Carabinieri, dislocati nel territorio, resero necessaria l’istituzione di un tour de fource, di più uomini, costituito dalla Guardia Nazionale in collaborazione con reparti speciali di Bersaglieri e di soldati della Guardia Mobile per setacciare il Nord di Napoli, operava la banda Cerullo.

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Il 26 novembre del 1864, Alfonso Cerullo di Marano di Napoli, ex gendarme borbonico, viene arrestato dagli agenti di Pubblica Sicurezza, accusato di essere il capo di una banda di briganti che imperversava per le campagne a nord di Napoli. Dall'interrogatorio risultano di aver fatto parte della banda anche quattro mugnanesi.



                                                   Napoli "8 Novembre 1864

Questura di Napoli



 

  Interrogazione di Alfonso Cerullo
di Salvatore e Angelamaria Napolano di anni 27 di Marano di Napoli


"(....) Ferdinando Biondi, da Mugnano; questo venne ad abbandonare la banda prima ancora che fosse sciolta, portandosi via due fucili, fu arrestato, ma poi mi disse il fratello mio d'averlo visto nella passata estate a Marano in occasione d'una festa che ci fu.
Natale Vallefuoco, di Mugnano, stette pochi giorni con noi, e se ne andò poco prima che si sciogliesse la banda, fu arrestato ed uscì in libertà.
Alfonso Cipolletta , di Mugnano, abbandonò la banda innanzichè si sciogliesse portandosi il mio fucile, egli fu arrestato.
Vincenzo Schiattarella, da Mugnano, fu Gendarme sotto i Borbone stette pochi giorni a far parte della banda, credo che trovasi attualmente al servizio militare nell'esercito italiano, io però non so nulla di preciso sulla fine di lui.
Dioniso Capasso, pareva di Basilicata, era unito ad alcuni di Mugnano, e se ne andò prima dello scioglimento della banda, e non so altro di lui, si portò via il fucile, che credo poi sia andato in mano del capitano di Marano. "
 (Documento tratto  da " Il Brigantaggio post-Unitario a Nord di Napoli" di Giuseppe Barleri Biondi - Marano di Napoli 2005)


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Più che un Brigante, il nostro Alfonso Cerullo, era un autentico partigiano borbonico, tanto che osò sfidare l’esercito piemontese con un manipolo di compagni, innalzando su un albero nel bosco della collina dell’Eremo Camaldolese il Vessillo Gigliato dell’antico Regno, donatogli da alcuni affiliati, che l’avevano requisito ad abili tessitrici mugnanesi, e tanto era grande, che era ben visibile dai paesi sottostanti della collina.
Terminate le proficue incursioni nelle varie masserie della zona, si rifugiava nella Selva di Chiaiano, nella famosa Grotta del Brigante, antica cava ben nascosta dalla folta vegetazione, per sfuggire ad un’eventuale cattura e da cui poi ripartiva per altre e nuove scorribande per procacciarsi viveri e vettovagliamenti per la sua banda.
La banda del Cerullo era anche in contatto con altri gruppi di briganti, anch’essi operanti nell’entroterra della Provincia di Napoli, come quella di Crescenzo de Matteo nel aversano, la banda di Salvatore Reppe nella zona di Qualiano Quarto, la banda di Salvatore D’Alterio detto “‘o Squarcione” in quella di Giugliano e tanti altri gruppi e tutti insieme formavano il comitato insurrezionale dell’area nord di Napoli, che aveva come disegno strategico militare, il ritorno, appena possibile, del Re Borbone.
Queste bande Partigiane Borboniche divennero padrone incontrastate del territorio e spaziavano dai Camaldoli al Lago di Patria fino a Soccavo e Pianura e per il numero sempre crescente d'esse, costrinsero a Vittorio Emanuele II, ad ordinare al Generale Cialdini di procedere ad una massiccia repressione.
Si misero taglie sulla testa dei più noti capibanda e così iniziò una vera caccia ai cosiddetti briganti di casa nostra. Scesero in campo circa cinquemila uomini armati per stanarli oltre alle forze locali ed ai carabinieri.
Il nostro eroe, Alfonso Cerullo, fu preso nei pressi della Taverna del Portone, vicino al posto di Dogana al Furlone sulla Strada Santa Maria a Cubito, tradito da un certo Lucchesi Michele, la sera del 28 novembre del 1864.
Interrogato l’indomani, il 29 novembre 1864, dall’Ispettore Federico Sbarri della Questura di Napoli, com'è riportato dallo storico maranese Barberi nel suo libro, (il Cerullo “giustificò la sua ribellione, non volendo sottostare al nuovo regime e dichiarò che non si era mai macchiato né lui, né i componenti della sua banda, di nessun crimine, specie ,quello addebitatogli, dell’assassinio del carabiniere Maurizio Gorelli, avvenuto il 16 maggio 1863, che gli era attribuito, dichiarando altre sì che non si era mai scontrato con l’arma, anzi la rispettava, essendo stato lui stesso un gendarme per il passato).
Con un processo sommario fu richiuso in Castel Capuano e dovette scontare una pena di 25 anni di galera.
Scontata la pena all’età di 53 anni il 29 marzo del 1890 morì a Marano.
Alfonso Cerullo, esempio di uomo leale, rispettoso del giuramento fatto al suo Re, fu per più di un secolo dimenticato, e poiché la storia, molto spesso la fanno i vincitori, fu facile per i conquistatori piemontesi (passati alla storia come i liberatori del Regno delle Due Sicilie) decretare il nostro eroe e tanti altri martiri, che si batterono contro la tirannia savoiarda per difendere la loro patria nel rispetto delle proprie idee, dei briganti malfattori, coprendoli d’ignominie





Ringrazio publicamente il carissimo ferdinando Kaiser per l'opportunità delle belle Foto qui riprodotte, da lui scattate. per dare una vera immagine di ciò che è stato narrato

venerdì 17 dicembre 2010

Dopo il processo di P.za Pleb. _ I Savoia - 10^ puntata



Storia  di Casa Savoia     Umberto II di Savoia
  Terza puntata  - La luogotenenza ed Re di Maggio





“Professò, salutammece! S’è fatte tarde! So’ quase l’une e nun voglie ca m’aspettane p’accumicià a mangià’! Songhe state sempe puntuale dint’a vita mia, e pure mò, non me voglie cuntraddì.
'Nce vedimme dimane, si nun site impegnate!
M’appassiona sentirve raccuntà ‘o finale ‘e  comme va a fernì ‘a vita ‘e Umberto, o Re ‘e Magge.”  
Il buon Castagna, velocemente, così, si congedò e dopo esserci fraternamente salutati e riproposto di rivederci quanto prima,  scomparve dalla mia vista.
Passarono giorni e finalmente dopo una settimana, ci rivedemmo sempre al solito, allo stesso bar a Via Cervantes nei pressi della famosa Piazza Municipio.



“ Mio caro Castagna! Ciao come va la vita! Eccoci ritrovati, sediamoci e se ti fa piacere, ti finirò di raccontare la vita del Re Umberto II, intanto pigliamoci un bel caffè ristretto”.
Così improntai il continuare, là dove avevamo smesso.
Va bene, riprendiamo, allora, stavamo dicendo:

                Sua Maesta il Re
               Umberto II di Savoia









Sua Maestà  la regina Maria Josè




Si era alla fine di un’epoca, stava per finire un regno, si era alle ultime battute per cambiare registro in corso d’opera. Sembra di raccontare una commedia con tragiche avventure ed inattese ed insperate soluzioni.
 “Pruvessò, nun me interessene le vostre osservazione! Nè le vostre riflessioni posticipate!  La storia non si può cambiare, desidero conoscere solo come sono andati i fatti e perché?”
M'interruppe il buon Castagna ed io ripresi a dire:
Mio caro Castagna, dopo la fuga del Governo Badoglio, (governo voluto e nominato dal Re dopo la sfiducia al Duce del 25 luglio 1943 del Gran Consiglio del Regime e il conseguente arresto di Mussolini),  a Brindisi che si ebbe con tutta l’intera famiglia reale, per mettersi al sicuro, al riparo delle truppe alleate, che intanto dopo lo sbarco in Sicilia, occuparono, conquistandola, buona parte dell’Italia meridionale.
 ReVittorio Emanuele III a Brindisi 
passa in rassegna una formazione del Regio Esercito









Dopo La firma dell'Armistizio a Cassibile
La stretta di mano tra Il gen Castellano Per L'Itraliaed il Gen. Eisenaur per gli Alleati




Le forze politiche del CNL (Comitato di Liberazione Nazionale), rappresentante tutte le forze politiche antifasciste, riunitesi a Salerno per la prima volta, decisero di sbarazzarsi anche del vecchio Sovrano (Vittorio Emanuele III), perché lo ritenevano colluso col fascismo di Mussolini e della  sua politica razzista che era stata avallata dallo stesso.


I capi fondatori della Repubblica Italiana
i Ministri del 1° Governo De gasperi  10 Dicembre 1945
Nenni, Ruini, Vernocchi, De Gasperi, Togliatti




Simboli dei partiti che rappresentavano il popolo alla prima elezione
del 1948 e furono così fino al 1972


 Questa decisione trovò l’opposizione del Comando delle truppe d’occupazione degli alleati e si rimandò il tutto ad una consultazione referendaria da tenersi appena l’Italia intera fosse stata liberata dall’occupazione nazista. Intanto le prerogative reali del Sovrano (Vitt.Emanuele III) con un compromesso accettato da tutte le forze politiche e dal Comando delle truppe Alleate) ritennero che avrebbero dovuto passare al principe Umberto, che fu designato Luogotenente Generale del Regno d’Italia.


Tale Nomina, fu suggerita e caldeggiata dall’ex Presidente della Camera, Onorevole Enrico De Nicola, per convincere il vecchio sovrano, (Vittorio Emanuele III) a cedere al figlio le prerogative reali senza, tuttavia, perdere la dignità di Re e, mettersi da parte per un po’, per non far perdere definitivamente  il potere di rappresentanza dello stato all’istituzione monarchica”.

On. Enrico De Nicola
Ex Presidente della Camera Prima del Fascismo
1° presidente della Repubblica Italiana




Professò, spiegateme buone, ‘O vecchie, comm’ ‘a pigliaje?
Chille ere tuoste, ere permalose, comme faccette ad agliottere chille pinnele, accussì amare? Scusate professore, mi spiego meglio, ve lo dico in italianoCome la prese il buon vecchio Sovrano? Quello era un tipo rigido, duro, permaloso. Come fece ad inghiottire una pillola, così amara?
Risposi senza perdere tempo: “Non capacitatosi immediatamente, andava profferendo in dialetto piemontese, quasi come una cantilena, che  in casa Savoia si comanda uno per volta ".
Forse fu la stagione primaverile, la speranza, che la bufera della guerra stava volgendo alla fine e si attendevano giorni migliori con un futuro più sereno, si rassegnò a trascorrere quel periodo transitorio nell’amena collina posillipina, a Napoli, a villa Rosebery nell’insolita veste di pescatore, qualcuno andava sussurrando “ ‘o Piscatore do’ mare ‘e Pusilleche”. 




Intanto Umberto da Luogotenente del Regno si accordò con le forze politiche del CNL e firmò, anche, su pressione del comando delle truppe alleate americane ed inglesi, l’ormai, divenuto famoso, Decreto Legislativo Luogotenenziale numero 151 del 25 giugno 1944, che stabiliva che “ Dopo la liberazione del territorio nazionale, le forme istituzionali sarebbero state scelte dal popolo italiano, che a tal fine – avrebbe eletto – a suffragio universale, diretto e segreto, un’Assemblea Costituente per deliberare la nuova costituzione dello stato, dando per la prima volta il voto alle donne.
Durante il periodo luogotenenziale, Umberto II di Savoia, che va dal 2 giugno 1944 al  8 maggio 1946, fu anche istituita con la sua firma, una Commissione  per redigere “ lo Statuto della Sicilia, che promulgherà in seguito, esattamente il  15 maggio 1946 quando dopo il 9 maggio 1946 divenne Re.  Statuto, che istituì l’autonomia della Regione Sicilia e permise  i cardini  e la legislazione isolana che tuttora si fonda in esso.”
 “Nu poche, ‘o Re, ho facette Umberto, professò! Ma comme fuje ca po’, quanne  se facette ‘o referendum nun ‘o vulettere?  Nce fujene bruoglie, vutajene pure ‘e femmene, fuje ‘na cosa giuste, ‘e cuntegge de’ vote fujene esatte, precise o nce stevene schede sbagliate, ritenute nulle, ca s’erene cuntrullà e, po', nun se facette niente? Agge sempe sentute ‘e dicere ca ‘o risultate nun fuje schiacciante p’ ‘a Repubblica? Vurria sapè a verità, si ‘a sapite?”

Carissimo Castagna! E’ una parola!" Risposi prendendo tempo per la risposta, poi ripresi dicendo: “ era un momento particolare, non dimentichiamo che era appena finita la guerra di liberazione dai tedeschi, (c’erano stati molti morti nella popolazione) tenevamo ancora l’esercito d’occupazione degli Alleati nelle nostre città, c’era la fame più nera, si  era quasi allo sfacelo generale, con macerie di palazzi bombardati dappertutto, c’era uno scoramento interiore, senza un minimo di speranza, il tessuto industriale era a pezzi senza materie prime per ricominciare.  ( Basti pensare che molti bambini furono portati, perchè poveri e da sfamare in famiglie dell'Emilia Romagna con i treni della ricostruzione e della solidarietà).
Insomma in quei momenti si viveva alla giornata. Nacque così un movimento di solidarietà nazionale spontaneo dal nord al sud e viceversa per ricominciare a vivere a riprendersi.  Il sud sperava nel Re Umberto e si schierò per la monarchia, il nord, che aveva conosciuto la lotta partigiana,  per la Repubblica.  Vinse per pochi voti la Repubblica, che raccolse consensi  per 12.717.923. voti , mentre quelli per la monarchia furono 10.719.284. si contarono poi voti non aggiudicati, perché ritenuti nulli durante la prima assegnazione nei seggi, una quantità di voti pari a  1.498.136.=”.

 Castagna esultò con soddisfazione alla mia elencazione di cifre e di rimando mi chiese:
Allora non ci sono dubbi vinse democraticamente la Repubblica! L’Italia con il Referendum aveva deciso sbarazzarsi dell’Istituto della monarchia e del suo Re!
Umberto se n'andò da Roma pacificamente senza fare resistenza, (come portano gli annali dell’epoca), accettò il verdetto delle urne (come si vede in qualche filmato dell’epoca) senza battere ciglia o contrastò la proclamazione ufficiale in attesa della verifica della regolarità dello svolgimento  della consultazione fino all’ultimo momento?

 Gli confermai con spavalderia, anche perché era ormai convinzione comune, che il popolo italiano aveva scelto lo Stato repubblicano, il resto, le dicerie giornalistiche, finché, non si pronunciò la Corte di Cassazione, furono accantonate e poi abbandonate; e così tutte le insegne, le organizzazioni militari monarchiche sabaude furono abolite, o sciolte dalla sera alla mattina, tanto che si andò pronunciando in modo categorico  il proverbiale detto
Te facce fà ‘a fine de’ guardie regie” (ti faccio fare la fine delle guardie regie)
 Nel senso che non sei più nessuno ormai, hai perso ogni potere, te ne devi solo andare, non fai più paura , non conti più niente.
Infine gli ripetetti. “ dopo una notte travagliata, quella del 12 giugno 1946, Umberto di Savoia, preferì prendere atto della sconfitta e per evitare una guerra civile tra Monarchici e repubblicani, che già era nell’aria, dopo i fatti di Napoli, dove s’erano verificati  alcuni morti e per evitare al paese un’ulteriore disastrosa tragedia, alle ore 16,30 del 13 giugno del 1946 lasciò Roma dall’aeroporto di Ciampino. Facendo diramare il famoso proclama, dove veniva indicato di un gesto rivoluzionario da parte del Consiglio dei Ministri, quello di  non aver voluto attendere il 18 giugno, data prevista per la proclamazione definitiva da parte della Corte di Cassazione del risultato finale, dopo che avrebbe dovuto esaminare verbali di assegnazioni,  reclami, il numero esatto dei votanti, i voti nulli ed il modo interpretativo di come si sarebbe dovuto calcolare la maggioranza per assegnare la vittoria.”
 Una delle frasi pronunciate dal sovrano, prima del risultato referendario fu che (la Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia No. La monarchia non è un partito. E’ un istituto mistico, irrazionale. Capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Dev’essere un simbolo caro o non è nulla).




 La partenza in esilio
 di sua ex maestà Umnerto II di Savoia



“Dopo che lasciò Roma in aereo dove andò? In quale paese?
Il padre se n’era andato in Egitto e lui lo seguì nello stesso esilio?
Così m’interrogò il buon Castagna ed io subito gli risposi:” Scelse Cascais, in Portogallo, primo perché non era un paese confinante con L’Italia, secondo era un nazione dal clima temperato mediterraneo, terzo sperava di ritornare presto sul suolo patrio, dopo che le acque turbolente  del clima ostile alla monarchia, si fosse  spento, dopo il raggiungimento della pace ritrovata e la ripresa della normalità.
Cascais ( Portogallo)  -  Villa  Italia









                          
Merlinge ( Ginevra ) Residenza di Maria Josè



Con l’entrata in vigore della nuova Costituzione repubblicana il 1° gennaio 1948, questo recondito sogno di Umberto II, l’ultimo Re d’Italia, svanì, perché il primo ed il secondo capoverso della XIII disposizione finale e transitoria vietarono ai membri ed ai discendenti di Casa Savoia di ricoprire uffici pubblici, né assumere cariche elettive. Agli ex re Sabaudi, alle consorti ed ai loro discendenti maschi  si vietò l’ingresso ed il soggiorno nel territorio nazionale.
Tali norme hanno cessato i loro effetti con l’articolo unico della legge costituzionale n. 1 del 23 ottobre 2002 come pubblicato  sulla Gazzetta Ufficiale n. 26 del 26 ottobre 2002.”
 A ques’ultima spiegazione, il Buon Castagna proferì: “M’avete tolto un peso dallo stomaco. Allora fu tutto regolare il referendum, la Repubblica è ciò che voleva il popolo! Non si parlò più di Umberto II di Savoia, finché non morì il 18 marzo 1983,nel frattempo fu quasi ignorato, dimenticato, è vero? Pruvessò, che fine facero i figli e la moglie, Maria Josè? Raccontatemelo subito, professò, a prossima volta che ci rivediamo, dobbiamo attaccare parlando della figura del figlio, Vittorio Emanuele IV,  che m’intriga moltissimo, perciò fatemi la cortesia datemi un risposta succinta, ma esauriente, che fine fece la famiglia del Re Umberto II, il Re di maggio".
M’impegnai a non farla lunga e ripresi a dire: “ Maria Josè, la moglie di Re Umberto, in un primo momento risedette per un breve periodo pure Lei a Cascais, ma lasciò definitivamente il proprio consorte per vecchi dissidi e vedute diverse, mai appianate da lungo tempo, presenti già dalla loro unione e pertanto si trasferì a Merlinge, nei pressi di Ginevra con il piccolo Vittorio Emanuele. Le figlie  Maria Pia, Maria Gabriella e Maria Beatrice, rimasero a Cascais col padre e per la loro vita sentimentale a volte tumultuosa, non pochi dispiaceri arrecarono all’illustre genitore".



Re Umberto II di Savoia e la sua famiglia nel maggio 1946

Per la cronaca :

 
Maria Pia, Principessa di Casa Savoia


                           


La principessa Maria Pia di Savoia sposò  in prime nozze il 12 febbraio 1955
 Alessandro Karadordevic, principe di Jugoslavia,

  ha avuto  4 figli, due coppie di gemelli (Dimitri e Michele) (Elena e Sergio), si separò, divorziando il 1967 si è risposata il 16 maggio 2003                                         con il principe Michele di Borbone-Parma.






   Maria Gabriella
  Principessa  di casa Savoia


      

 Maria Gabriella  Principessa  di casa Savoia
sposò Robert de Balkany,  Ha divorziato (1990),

 ha avuto una figlia Maria Elisabetta.



Maria Beatrice di savoia,





La Principessa Maria Beatrice di Savoia sposò
 Luis Reyna Corvalan il 1 aprile 1970, 
Rimase vedova  di Luis Reyna Corvalan, che morì il 17 febbraio 1999 in circostanze misterose.
 Ha avuto tre figli Raffaello, Patrizio ed una figlia Asaea.




 Vittorio Emanuele IV, Principe di Napoli
 Principe ereditario di Casa Savoia


 Vittorio Emanuele,
Principe di Napoli
 Principe ereditario di Casa Savoia
sposò  Maria Ricolfi Doria  l’11 gennaio 1970,

ha avuto un figlio, Emanuele Filiberto


“Site state ‘e parola, professò, mi avete spiegate succintamente e chiaramente come sono andate le cose dopo l’esilio volontario dell’Ultimo re D’Italia.
 A questo punto mi viene  quasi spontanea di fare una riflessione storica, che, poi, è questa : la fine della dinastie reali regnanti negli ultimi tempi  nella Nazione Italia  è quasi identica, (come quella dei Borboni e quella dei Savoia) si somigliano moltissimo!


E' gradito un commento se il racconto è stato interessante,
 per continuare e terminare la narrazione  della vita dell'ultimo Re d'Italia quanto prima