venerdì 16 ottobre 2009

Tifeo o Tifone (il Signore d'Ischia)

Tifeo o Tifone, raffigurato in una tomba etrusca






Origini dell’Isola D’ischia e dei Campi Flegrei



Vuoi conoscere chi era Tifeo o meglio Tifone, il Drago simbolo della furia devastatrice del fuoco, che combatté contro Zeus (Giove) e sconfitto dallo stesso, fu punito a restarsene relegato, incatenato e nascosto sotto le montagne, (per lo più costiere) e sotto le grandi isole del mar Mediterraneo, specie quelle nel tratto noto come il Tirreno
.Tali grandi isole celano vulcani, che periodicamente eruttano lava d'origine magmatica e sai perché ?

Sotto di loro c’è il Titano Drago, TIFEO, che era un mostro primordiale, generato dalle primigenie divinità, la Terra (Gaia) e dal Baratro Infinito (il Tartaro), per conto della Dea Era (Giunone), che l’aveva richiesto, per vendicarsi del proprio consorte Zeus (Giove), che aveva creato senza il suo concorso (alla nascita) della Dea Minerva.
Lo desiderò tanto, di fare altrettanto e la sua richiesta fu esaudita. Toccando, infatti, la Tenta (Massa informe della primordiale superficie della terra) rimbalzò Tifeo, in mezzo ad un fetore pestilenziale.

Tifeo imprigionato sotto l'isola d'Ischia
Per vendicare lo spodestamento da parte di Zeus (Giove) del proprio padre Crono (il Tempo), Saturno invocò l’aiuto dei suoi fratelli, i Titani; (primordiali esseri giganteschi dell’Universo) per sferrare una furibonda guerra contro l’usurpatore Olimpico con lo scopo di ridisistemare, l’ordine preesistente, basato sull’equilibrio della Terra, del cielo, del mare e dell’aria.
Nella Guerra Zeus (Giove) si fece aiutare dai Ciclopi e dai Centimani, anch’essi primordiali giganti, che liberò dagli abissi del profondo Tartaro, in cui erano stati incatenati dal Dio Urano. La guerra fu terribile senza limiti, che durò per dieci anni e più e che sconvolse l’intero Universo.
Durante la lotta si assistette a montagne sradicate, che scagliate nelle fiamme fremevano, intere selve crepitavano, mentre la terra, i flutti dell’oceano ed il mare immenso ribollivano. Accadde, così, che una bolgia infuocata producendo una vampa salì fino all’etere ed avvolse l’intero popolo dei Titani, accecandoli.
I giganteschi Titani, nonostante il loro coraggio orgoglioso, non ressero la lotta e sconfitti, e vinti furono oppressi, incatenati e precipitati negli abissi, lontano, ma tanto lontano dalla superficie della terra, quanto distante è la Terra da Cielo.
Saturno, il principale avversario di Zeus (Giove), sconfitto, fu anch’esso incatenato, mentre la nuova gerarchia olimpica s’insediò con tutta la schiera di nuovi Dei, voluti e scelti o partoriti, per la maggior parte di loro dallo stesso Sommo Dio, Zeus (Giove), quando si accoppiava con donne mortali, generando semidei come nel caso d’Eracle (Ercole), Giasone e Minasse
Gea (la Terra), intanto non aveva perdonato la sconfitta di Saturno e dei suoi fratelli Titani, e per vendicarsi istigò il figlio più giovane, il Drago Tifeo, a scagliarsi contro l’Olimpo. Il corpo di Tifeo, era immondo e pauroso, era ricoperto di penne irte, come lance acuminate, aveva le spalle, formate da cento teste di drago, ciascuna delle quali vibrava una lingua nera, mentre gli occhi delle stesse sprizzavano fiamme ininterrottamente a mo’ di lanciafiamme, che inceneriva ogni cosa ed era così enorme, che superava in altezza qualsiasi montagna e le sue mani erano capaci di toccare sia l’oriente, sia l’occidente, dalle cosce, infine, uscivano vipere velenose
In un primo momento gli Dei dell’Olimpo, fuggirono sbigottiti e furono costretti a trasformarsi in animali per non farsi catturare dell’invincibile Tifeo
Zeus (Giove) l’affrontò, ma ben presto ebbe il peggio, ed avvinto dalle serpi, cadde in potere del poderoso avversario, che gli recise i tendini delle mani e dei piedi e lo rinserrò nel proprio antro in Cilicia.
La storia non finisce qui, perché Ermes (Mercurio) scoprì la prigione di Zeus (Giove) e liberatolo riuscì a ridargli forza e vigoria, dopo avergli sistemato i tendini recisi
Zeus (Giove) rimessosi in sesto, riprese la lotta contro Tifeo e questa volta riuscì a sconfiggerlo con, il "Folgore", costringendolo a nascondersi ed a rifugiarsi sotto le maggiori isole del Tirreno
La vittoria completa Zeus (Giove) l’ebbe, quando schiacciò, sul capo del gigante Tifeo, un’enorme montagna, l’Etna, e sul corpo delle numerose teste, scagliò addosso, come fossero sassi, le tante isole presenti, che attualmente s’ammirano nel mar Tirreno, tra le quali, Stromboli, Vulcano, Procida, Capri ed Ischia.
Nonostante il peso di questi enormi macigni di pietra, cui soggiacciono le teste del mostro, esse sono ancora vive tanto, che ad intermittenza di anni eruttano lava incandescente come fosse il suo vomito.
L’addome del mostro finì, parte sotto il peso del monte Epomeo dell’Isola d’Ischia e parte sotto gli altipiani dei Campi Flegrei, e per questo il mostro, sfogandosi per la male sorte capitatogli, giornaliermente tentando di liberarsi dei pesanti macigni, si sfoga lamentandosi invocando la bella Afrodite (Venere),
Afrodite (Venere), impietosita da tante lagrime, intercedendo presso il padre Zeus (Giove)  ottenne dal padre solo di poter tramutare gli assordanti rimbrotti e sbuffi del questulante, in fumarole, solfatare e sorgenti termali sia nel mare acqua, dove soggiace, sia sulla terra ferma, rendendo così l’isola d’Ischia e tutta la costa flegrea, località dolci e piene di salubrità e con una perenne temperatura gradevole

 
Mappa con l'isola di ischia ed i campi flegrei


Questo è Tifeo o Tifone, il Signore incontrastato del Mar Tirreno, che ha reso famoso nel mondo queste isole e le coste tirreniche per le loro benefiche sorgenti d'acque termali, che curano naturalmente malattie guaribili soltanto immergendovi in loro e ritemprano lo spirito, dallo stress della vita condotta in modo frenetico


E' gradito un commento, quale incoraggiamento a continuare con altri miti

domenica 11 ottobre 2009

A festa 'e Piererotta

Facciata della Chiesa di S.Maria di Piedigrotta



Comm’ ere belle “Piererotte”

Ere ‘na festa, ca nun teneve cunfronte

Ere ‘na festa, ca durave otte juorne.
S’accumiciave a sera do’ sette ‘e settembre
e Napule tutta, se rigneve ‘e ‘tanta gente.

Ere permesse tutte, scherze, fanfarunate

curiandele ‘nfacce, spintune, spillunate
‘nta ‘nuttate, po’ tutte distrutte, a casa te ritirave,
ire felice, ire state ‘a Piererotte e nun te lamentave.

L’autorità lassave fà', nun faceve niente,

si steve zitte, ere ‘o mode pe’ fa’ sfugà la gente
ca subbeve tutte ‘e juorne li priputenze,
‘e tante ‘nfamità, fatte dalli sue eccellenze.

Ogne quartiere e pendone 'e viche partecipave

cu carre chine ‘e sciure e frutte ‘nghirlandate,
ca simbuleggiavene l' abbunnanza
ca mettevene ‘nto core alleria, 'a speranza.

‘E giuvene specie chille cchiù ‘nziste

cu grosse cuppulune ‘e carta peste
appise a ‘na mazza cu ‘nu file ‘e spave
pe’ spasse, te l’acalavene ‘ncape.

Quanne ‘a sotte ‘o cuppulone ascive

‘nfacce curiandele e resate ricevive
si po’ t’arraggiave, e arapive ‘a vocche
‘na lengue ‘e mennelicche, t’arrivave ‘mmocche.

Ere ‘a festa pe’ ‘nvucà ’a speranza,

pirciò ‘a città addeventave ‘na paranza
aro’ putive ammirà’ a ogne pendone
‘vampiette carreche ‘e cozzeche ‘e mellune

Se cantave, se sunave, se pazziave,

ere ‘na festa ca ‘o munne ’nce ‘mmeriave.
Mo!, Piererotte, è sule ‘nu ricorde, e nustalgia,
‘nc’ è rimaste ‘a rotta, e ‘o nomme ‘e ‘na via.