lunedì 24 dicembre 2018

venerdì 21 dicembre 2018

La Carmagnola , oltre ad essere l'inno della rivoluzione francese.



La Carmagnola

Vi siete mai posto il quesito, che cosa è la Carmagnola?

La prima risposta che ti viene spontanea, proveniente da qualche reminiscenza storica scolastica, è che : “ è il canto rivoluzionario della “Rivoluzione Francese “ o meglio era il canto popolare dei Sanculotti, di autore anonimo, creato durante il ritorno delle truppe rivoluzionarie francesi dall’Italia. Ufficialmente la Carrmagnola,  è un’antica danza , nata probabilmente a Carmagnola , quindi è originaria di una zona tipica piemontese, dove si coltivava e si filava la canapa per farne abbigliamenti particolari e vari tipi di corde. 



Classico Inno " le Carmagnole "

Tale canto popolare, “la Carmagnola“, divenne l’inno dei Sanculotti,  che lo introdussero e lo intonavano già nel 1792 in concomitanza della Convenzione Nazionale di Francia  e quando avvenne l’arresto del Re francese dell’epoca, Luigi XVI e poi durante l’avvento del Regime del Terrore voluto e propiziato da Massimilliano de Robespierre, detto l’incorruttibile. 
La carmagnola (in francese “La Carmagnole”), quindi  è un canto ed una danza che riscosse una grande popolarità durante la Rivoluzione francese. divenendo così l’inno di tale stravolgente cambiamento epocale dell’ordinamento dello stato della Francia, da Monarchia a Repubblica.






Classico Inno e danza dei Sanculotti " la carmagnole "



Il termine “ Carmagnola “ era oltre al nome della danza,  che si ballava nella  piana piemontese di Campagnola, era anche una antica parola greca (αρμανιόλα (karmaniòla), che significa appunto "ghigliottina". 

 
LA CARMAGNOLE, Giubba di canapa dei sanculotti.



La Carmagnola era detto,  pure, l’abbigliamento di canapa degli operai stagionali settecenteschi, che risiedevano nel paese di San Bernardo di Carmagnola, quando  si spostavano al porto di Marsiglia per fabbricare e preparare corde per bastimenti e navigli vari. che consisteva  in una giubba particolare.
 Tale giubba , detta appunto le carmagnole, era in sostanza una giacca (di canapa) a falde dritte e corte, importata a Parigi nel 18° secolo da emigranti piemontesi e indossata in seguito da federali marsigliesi, quando  entrarono a Parigi nel 1792 , diventando così:  l'emblema  dell'uguaglianza.
La Carmagnola infine, adornata con il berretto frigio e  con la coccarda tricolore, indossata su  dei pantaloni da marinaio lunghi e di taglio ampio con patta davanti e tre bottoni, sostenuti dalle bretelle,  sotto un gilet e calzando zoccoli da contadino ai piedi., divenne  in questo modo “il  costume sanculotto”.

Abbigliamento di Sanculotto

 


Tale inno “ la Carmagnola ” inneggiante alla Libertà, all’Uguaglianza ed alla Fratellanza, ebbe una grande popolarità in tutta Europa  specie in Italia, dopo la conquista Napoleonica dell’intera nazione.

Infine, quando il re di Napoli dell’epoca, il borbone  Ferdinando e sua moglie la Regina Carolina di Austria, sorella di Maria Antonietta, scapparono in Sicilia per l’arrivo dei francesi e fu proclamata la Repubblica partenopea di Napoli, si  iniziò la riconquista del Regno con l’aiuto delle truppe dei Sanfedisti , seguaci dei Borboni al comando del Cardinale Ruffo.

La riconquista del Regno, in risposta dell’ossessionante inno         ” la carmagnole “, fu intonato con la stessa musica, ma con un testo diverso, inneggiante alla famiglia reale borbonica, che metteva in ridicolo i valori  della cosiddetta Rivoluzione francese, che divenne poi l’inno dei sanfedisti noto come “il canto dei sanfedisti”, risposta polemica alla nota canzone della Carmagnola. 





                                                      il canto dei sanfedisti




Il canto dei Sanfedisti, cantata da Enzo Gragnaniello

sabato 15 dicembre 2018

moneta da 2 euro commemorative emesse nel 2018



2 euro commemorativo italia 2018 ministero.jpg


60º anniversario dell'istituzione del Ministero della salute

 Descrizione: Il disegno raffigura una rappresentazione allegorica della salute accompagnata da alcuni elementi simbolo delle attività del ministero: ambiente, ricerca, alimentazione e medicina. A sinistra campeggia il monogramma «RI», acronimo di Repubblica italiana, in alto, la lettera «R», marchio della Zecca di Roma e alla base della figura femminile, la sigla dell’autrice Silvia Petrassi. Da sinistra a destra, sono riprodotte in semicerchio l’iscrizione «MINISTERO DELLA SALUTE» e le date «1958-2018». Sull’anello esterno della moneta figurano le 12 stelle della bandiera dell’Unione europea












 
70° anniversario della Costituzione della Repubblica Italiana



Descrizione: Enrico De Nicola, capo provvisorio dello Stato, firma l’atto di promulgazione della Costituzione della Repubblica italiana il 27 dicembre 1947; alla sua destra, Alcide De Gasperi, presidente del Consiglio, alla sua sinistra Umberto Terracini, presidente dell’Assemblea costituente italiana. Sopra, l’iscrizione «COSTITUZIONE» e il monogramma «RI» della Repubblica italiana; in esergo, l’iscrizione «CON SICURA COSCIENZA», l’identificativo «R» della Zecca di Roma e le date «1948 • 2018», rispettivamente l’anno dell’entrata in vigore della Costituzione italiana e l’anno di emissione della moneta. Sull’anello esterno della moneta figurano le 12 stelle della bandiera dell’Unione europea.













giovedì 13 dicembre 2018

DEBITO PUBBLICO -3 puntata



DEBITO PUBBLICO – 3^ puntata


Continuo, allora, carissimo Tore, : ripresi a descrivere come si era giunti a questa tale massa di Debito Pubblico.

Alla normale scadenza negli anni ’70 per continuare ad approvvigionarsi di prestiti con una vita a lungo o a  medio termine per sopperire a spese straordinarie programmate, da farsi senza avere la copertura finanziaria dell’annuale Bilancio statale, si ricorse ai nuovi titoli obbligazionari dello Stato (anch’essi facenti parte del Debito Pubblico) denominati, questa volta non più BTN 5% ( i classici Buoni del Tesoro Novennali al tasso del 5%), ma BTP (Buoni del Tesoro Poliennali) con una scadenza varia, ma certa, e  diluita nel tempo ed un tasso di rendimento fisso, che variava a secondo l’esigenza del fabbisogno statale. Tutta questa specie di titoli  erano emessi sempre  dalla Banca D’Italia, autorizzati dal Ministero del Tesoro, e si potevano acquistare direttamente presso le sue sedi provinciali  ed avevano durata poliennale (usualmente con scadenze di 3, 5, 10, 15, 30 o 50 anni) e presentavano cedole annuali pagate semestralmente (ad esempio, un BTP al 6% pagava due cedole semestrali del 3% l'una). Il rendimento generalmente di questi titoli era dato dal tasso fisso delle cedole e dalla differenza tra il prezzo di emissione ( inferiore di qualche punto percentuale del valore nominale del titolo)  e quello effettivo di rimborso.
Negli anni ‘80 e ’90 appaiono infine un tipo di titoli speciale, anche se già utilizzato nell’anteguerra, I noti  - CCT -  questa volta con alcune caratteristiche, che li rendono vantaggiosi e concorrenti agli altri titoli di credito al portatore dello stato, per la loro specialità che è : il rendimento a tasso variabile.
I certificati di credito del tesoro (CCT) sono quindi, titoli di Stato a medio - lungo termine con un massimo di durata di 7 anni emessi ora dal Ministero dell'economia e delle finanze per finanziare il debito pubblico.

Gli interessi  dei CCT sono corrisposti anch’essi tramite cedole semestrali posticipate ( in passato la cedola era unica annuale), il cui rendimento è pari al rendimento dei BOT semestrali nell'ultima asta che precede il godimento della cedola, aumentato di uno Spread che dal 1996 è stato fissato a 15 punti base (0,15%). Il rimborso del valore nominale dei CCT avveniva alla pari in un'unica soluzione alla scadenza. Agli acquirenti previsti dalla legge (banche, agenti di cambio)  era corrisposta, anche,  una  commissioni di collocamento  pari, in un primo momento, al  0,30% poi all’ 1 %, che era a carico del Tesoro. Si viene a conoscenza quindi con questi Titoli (CCT) di  un nuovo termine, l’inglese – Spread  =  Divario = , che stava a significare la differenza di rendimento che esiste tra diversi titoli di Stato italiani (BTP a tasso fisso e CCT a tasso variabile) , come denota il divario tra il tasso fisso del rendimento di un titolo e quello  di un altro  che fa riferimento invece il tasso reale praticato dal mercato.




“ Grazie , per avermi spiegato tecnicamente e praticamente come si manifestava in quegli anni il Debito Pubblico, ma non mi avete detto come si sviluppò l’inflazione e l’ammontare della crescita, quasi incontrollata, di tale Debito che faceva lo Stato. Quali incentivi ed interessi spingevano ad accaparrarsi di tali titoli di credito statali il mondo dei  risparmiatori, quali cittadini comuni od imprese specializzate, come le bancarie o finanziarie, e sia quelle, che svolgevano attività  industriali ed artigianali ? “M’interruppe nella mia esposizione , il mio amico Tore Castagna,
Mi fermai un  istante per non apparire noioso e saccente e mi permisi di propinargli una mia riflessione di vita, dicendogli : “ ti sei dimenticato che negli anni 1966  si dovette finanziare
 “ l‘AIMA” (l’Azienda per Interventi sul Mercato Agricolo) e tanti altri enti statali  fatti nascere per permettere alla nostra nazione uno sviluppo sociale adeguato ai tempi.”
Ripresi, poi, affermando che In quegli anni i titoli del Debito Pubblico con i suoi interessi medi annui, ebbero un solido e incontrastato successo. Le rendite realizzate nell’acquisto di tali titoli (BOT, BTP e CCT), infatti, passarono velocemente  da un tasso percentuale del 7%  del 1972  al 10% nel 1975 e al 19-20% nel biennio 1981-82 .Tutto ciò avvenne nel corso degli anni della coalizione di maggioranza governativa del Pentapartito, guidato dal patto informale noto come C.A.F. (Craxi-Andreotti-Forlani), che di fatto fungeva da “motore immobile” della politica italiana.
 Il pentapartito per creare crescita si inventava i famosi lavori pubblici, quelli delle infrastrutture ed in questo modo  la spesa cresceva a dismisura ed il Debito Pubblico  raggiunse livelli non più controllabili. Tale politica fu realizzata . come dice il
noto Detto Napoletano “ SURCO CUMMOGLIA A SURCO” .Cioè : solco copre un solco.

L’espressione nel suo significato sotteso vale: debito (nuovo)  copre, risana un debito (vecchio),  ci troviamo cioè in presenza della tipica spirale dell’indebitamento, che comporta la necessità di contrarre un debito nuovo per risanarne uno precedente, in modo che il nuovo debito più grande  copre, cela, nasconde ed  occulta il tutto .
Si fece ricorso a Prestiti onnicomprensivi per far fronte alle spese inerenti alla costituzione delle ASL per ripianare i debiti accumulati dagli enti lirici, dai porti,  dagli enti con la partecipazione stale (IRI , ENI, EFIM) in quegli anni,  con emissioni ad iosa di  Btp e CCt. Perfino quando fu congelata la contingenza (per gli aumenti retributivi dipendenti dalla variazione del costo della vita)  a seguito della legge n. 797 del speciale emissione graduale di 3 trances di  BTP con durata di 5 anni, la prima al tasso dei 14 % e le altre al 13%. Tali  BTP  pur aventi cedole semestrali al portatore erano Nominativi e per alcuni anni, non facilmente negoziabili, se non prima di una determinata scadenza.

CCT al Portatore CON allegate Cedole semestrali






BTP  Titoli al portatore con cedole semestrali











martedì 11 dicembre 2018

Gli Incappucciati




I papute , chi erano ed esistevano una volta anche a Chiaiano?               

Domanda  fattami  da un giovane studente di Chiaiano,  mentre si stava discutendo di storia delle chiese parrocchiali del nostro amato Quartiere, Chiaiano,  e quale funzione sociale delle stesse,  avevano permesso la nascita dei rispettivi insediamenti abitativi di persone  sui territori, noti  fin dall’antichità, come casali  di Chiaiano e Polvica, poiché erano solo zone agricole produttive di  rigogliosa e squisita frutta, quali Mele, Noci, Pesche e le ciliegie,  ma non di uva per ottenere degli  ottimi ed eccellenti vini.
Immantinente risposi alla incuriosita richiesta, chiarendo affermativamente, ma precisando che la zona agricola e boschiva di Chiaiano fino al 1806 era rappresentata e divisa in due Casali  differenti, ma ugualmente importanti, quali : Chiaiano e Polvica, perchè facevano parte del Demanio  del Regno di Napoli.
Tali Casali erano in territori dislocati, lontano dalla città di Napoli, ma confinanti tra di loro, ed erano nati, come era d’uopo a quell’epoca ,  attorno  soprattutto alle riconosciute chiese parrocchiali ed alle relative concreghe annesse, che nacquero come quella di Polvica, con la devozione  del santo  patrono, “ San Nicola di Bari “, mentre quella di Chiaiano con la devozione del suo patrono “ San Giovanni Battista”.
Il casale più antico è accertato era quello di Polvica come si legge nel Dizionario ragionato del regio archivio diocesano di Napoli, infatti  era gia noto e registrato, (dopo la fine  del glorioso  Impero Romano d’Occidente dell’ultimo imperatore, Romolo Augustolo, datata  476 d.C ) ed anche,  dopo, quando l’Italia Meridionale fu dominata dall’impero d’Oriente ed  ai tempi dell’imperatore,  Alessio Commeno, circa nell’anno 1100 e Polvica, era già conosciuta ed era denominata Polleca . poi Pollica ed infine  riconosciuta come:  il casale di Polvica.
Questa trascrizione, quindi, fa  dedurre che Polvica, come casale, era stato già creato  in età romana , come lo testimonia, pure la lapide del sarcofago romano, rinvenuto  durante il restauro  della Chiesa di San Nicola, negli anni  ’50 del secolo scorso, ed attualmente si può ancora ammirare, perché  custodita e murata nella parete della scala di accesso che porta al campanile ed al vano, un tempo, dell’organo che sovrasta l’entrata.
 
Chiesa di San Nicola di Bari  in  Polvica



Epigrafe roamana trovata nel Restauro della Chiesa di Polvica





Tale epigrafe su un marmo salmastro, fu murata ed attualmente si può  ammirare  nell'accesso alle scale, che portano al campanile, e si legge a malapena  quanto segue:


D M
POMPONIAE L F
SATVRNINAE ET
BLAESIANO F EIVS
ET PLOCAMO MARITO
LIBERTIS LIBERTABVSQ
ET [E]IS QVOS A PLOCAMO
MANUMITTI
VOLVIT


«(Sacrum) D(is) M(anibus) Pomponiae L(iciniae) f(iliae) Saturninae et Blaesiano f(ilio) eius et Plocamo marito libertis libertasbusq[ue] et [e]is quos a Plocamo manumitti volvit»


La traduzione interpretativa dal latino di
(G. D’ISANTO, Scheda n. 8 in G. CAMODECA (a cura di), in «Puteoli Studi di Storia antica» VI (1982), pp. 153-156, fig. 7.)
«(Sacro) agli dei Mani di Pomponia Saturnina, figlia di Licinia. E a Plocamo suo marito e a suo figlio Blesiano, ai liberti e alle liberte la cui mano­missione ella concede a Plocamo»



Negli anni poi del 1700, esattamente nel 1740,  fu creata una confraternita, un’associazione di fedeli di vera civiltà cristiana con finalità di carità e di sentito culto alla Madonna, con la denominazione di “Congrega dell’Immacolata Sempre Vergine” eretta nella stessa chiesa parrocchiale  di San Nicola del Casale di Pollica,  (come si legge nell’atto  originale, della Regola della Congrega dell’Immacolata su citata, presentato al re Carlo III  di Borbone,  registrato nel Regio archivio di Napoli il 13 luglio 1753.
Dopo tale premessa storica, entriamo  nella descrizione del Termine      “ Paputo ” e  spieghiamo cosa centra con il borgo di Polvica di Chiaiano, così spero di dare una risposta esaustiva allo Studente incuriosito.
I “papute” erano personaggi, conosciuti durante la mia infanzia, che incutevano paura, infatti, si era solito, vederli  durante i Funerali di qualche personaggio deceduto del casale, però  iscritto  e facente parte alla Congrega  dei Confratelli dell’Immacolata Concezione, sita come, innanzi detto,  nella Chiesa parrocchiale di San Nicola di Polvica  in Chiaiano.

I Confratelli di una Congrega - detti anche " Paputi "







I Confratelli in realtà erano membri  laici di una Confraternita o Arciconfraternita, una sorte di una associazione che sorgevano per vere e proprie esigenze della popolazione  più povera e si occupavano principalmente nel dare una cristiana  sepoltura a chi non poteva permettersela.
Questi confratelli nostrani , detti “ Paputi ” , precedevano i funerali dei confratelli deceduti, vestiti da Incappucciati , cioè vestiti con un camicione bianco e con un  cappuccio di colore celeste-azzurro, ( i colori delle vesta  della Madonna Immacolata), e sfilavano in processione ricordando la passione e la morte di Cristo, e portando inneggiando, come un vessillo, una croce di legno colorata di nero, rappresentando quella in cui fu crocefisso Gesù, e nel procedere intonavano litanie in coro e con canti ispirati alla passione del cristo ed alla sua resurrezione.
Il termine “ Paputo/i”  deriva etimologicamente dalla parola greca  (Pappos –ou) che significa = nonno, avo  e con lo stesso significato fu riproposto anche  in latino ( Pappus –i) uomo vecchio – nonno . – mentre nella lingua Napoletana, Paputo sta  a   significare: incappucciato, chi non vuole farsi riconoscere come un anonimo penitente che apparteneva ad una sorta di setta quasi  segreta.
Il capo  di questa associazione cristiana, detta Confraternita, era “ O Priore” che era il responsabile primario dell’organizzazione di questi fedeli, che di solito perseguivano finalità di carità e di culto.  Il Priore era solitamente colui che ed aveva  il compito di controllare il lavoro, che svolgeva l'amministrazione della confraternita e presenziava e controllava che tutto procedesse bene durante l'esumazioni nelle cappelle cimiteriali della stessa, (generalmente le cappelle si trovavano sotto la sala  della Congrega, che era annessa alla Chiesa parrocchiale di riferimento) e partecipava di diritto agli incontri in curia per le decisioni diocesane.
Haime, negli anni  di fine ’50 ed inizio ’60  del Novecento per volontà del sacerdote dell’Epoca della parrocchia di Polvica, un certo Don Angelo Ferrillo, proveniente dalla vicina Calvizzano, con idee di grandezza, nell’ambito del restauro della stessa  Chiesa,  sconvolse l’intero monumentale edificio, facendo incorporare i locali della Congrega e distruggendo tutto ciò che era in esso contenuto, ( quadri ,  scanni e mobili vari, ritenuti vetusti ed inutilizzabili),  e nello spazio ricavato, vi impiantò la nuova sacrestia, mentre i locali sottostanti, che erano adibiti a cappelle di  sotterramento delle salme dei confratelli, fu creato un salone per un parrocchiale cinematografo e dopo un poco, anche aule per l’insegnamento della scuola elementare, data la carenza, di quel periodo, di edifici scolastici adeguati alla generazione dei bambini del dopoguerra.
Il primo , Priore, della Congrega dell’Immacolata Concezione di Polvica, fu Bernardo De Cristofaro nel lontano 1740 , come è riportato nella regola  della Confraternita  presentata per ottenerne la formale autorizzazione reale , e registrato come atto notarile nell’archivio regio di Napoli il 13 luglio 1753. L’ultimo Priore della Confraternita fu , Gaetano Pennino, ricordato professionalmente come un grande maestro di stucco di pareti e facciate di palazzi e Chiese dell’epoca.
Qualche interessante norma della Regola della Congrega era che ci si poteva farne parte essendo frequentatori della parrocchia ed aver compiuto  almeno 15 anni d’età, per l’effettiva iscrizione essere presentato da un già confratello,  che garantiva l’onesta e la certezza del culto cristiano del novizio.
Altra norma non derogabile era la tassa di entratura di ciascun confratello, che era così disciplinata ed  era tassativa da versare al tesoriere. ( quelli di età da 15 a 25 anni  era di 5 carlini, quelli da 26 a 30 anni  era di 8 carlini, quelli  da 31 a 40 anni  era di 10 carlini, mentre da 40 in sù non meno di 15 carlini.

 
il Carlino  - Moneta usata al tempo di Re Carlo III Di Borbone



 Una tassa, infine, di appartenenza  alla Confraternita,   era richiesta ed era in questo modo stabilita dal Priore e dal consiglio degli assistenti   protempore, in base all’età, alle disponibilità  economiche ed alla salute del confratello, ed era versata ogni domenica da ciascun adepto nella misura di una      " Cinquina ", che serviva alla comgregazione per assolvere ai vari compiti della stessa ed ad assolvere ai debiti contratti per gli interramenti e per l’esumazioni e per la fabbrica delle cappelle da farsi nel Cimitero dopo l’editto di Saint Cloud, emanato da Napoleone Bonaparte il 12 giugno 1804.,  

Moneta di rame il " Cinquina" utilizzata ai tempi del Regno di Napoli

martedì 30 ottobre 2018

I casali di Napoli



I Casali di Napoli

Cosa sono ed erano i cosiddetti “ Casali “ e  cosa hanno a che fare con la città di Napoli  per essere ricordati nel famoso detto:    
 “ cammina Napoli e 36 casali” o “Gira pe’  Napule e pe’  36 casale”
Tale antico detto stava a significare una persona che va in giro  per tutta Napoli e sui 36 casali. 

 
Mappa dei casali attorno a Napoli









 Il termine "Casale" deriva dal latino medievale e sta ad indicare un gruppo di case rurali, un villaggio di case coloniche rustiche formatosi, in zone di campagna dedite alla coltivazione di cereali     
 (grano, patate),  ed alla produzione di olio e vini. 
 Il termine casale fu usato, anche, come elemento di toponimi famosi e tuttora esistenti come città importanti in tutto il territorio italiano, le più note sono:
Casal Monferrato (in provincia di Alessandria);
Casal Pusterlengo (in provincia di Lodi);
Casal Grande (in provincia di Reggio Emilia);
Casal Bordino (in provincia di Chieti);
Casal di Principe (in provincia di Caserta);
Casal Nuovo (in provincia di Napoli);
Casal Buono (in provincia di Salerno);
Casal Velino (in provincia di Salerno);
  L’origine dei casali è molto antica si può far risalire attorno al 100 a. C. o addirittura all'epoca successiva alla seconda guerra punica, quando Roma espropriò il fertile AGER CAMPANUS e fece sorgere su tutta la pianura napoletana  numerose ville rustiche, dedite alla coltivazione di cereali e legumi ed in seguito anche alla piantagione di piante per  ottenere la produzione di frutta varia, olive, uva per ottenerne, poi, olio ed eccellente vino.
Il termine Casale, compare nel Mezzogiorno esattamente nell’XI secolo ed in seguito nel XIII come conseguenza dell’abolizione della servitù della gleba e l’introduzione del contratto dell’enfiteusi ( cioè quando il proprietario di un terreno agricolo, non desidera interessarsi direttamente e quindi lo cede ad altri il godimento, ottenendo come  contropartita l’obbligo di farsi pagare un canone e di apportarne eventuali migliorie dall'affittuario). Tale antica organizzazione prese corpo dalle forme di struttura di proprietà,  introdotte dalle comunità benedettine cistercensi, e consisteva in  una organizzazione del lavoro di tipo autarchico volto allo sfruttamento intensivo di grandi estensioni di terreni agricoli .

I casali insomma  erano delle case sparse. Villaggi di fondi rustici vicini alle mura della città, mentre quando erano insediamenti lontani erano detti “ oppida” o  “Castra”, in quanto dovevano in qualche misura  assicurare sia pure per tempi brevi, la difesa delle genti che li popolavano


Gli antichi romani chiamavano oppidum o castrum (plurale latino: Oppida  o  Castra) una città fortificata  priva di un confine sacro (il pomerio = delimitazione non costruita) proprio invece dell'urbe,  e vennero così individuati come “Oppida  o Castra” gli insediamenti cittadini fortificati, più grandi del semplice vicus, (borgo) ma non ancora abbastanza estesi per essere indicati come civitas (città) ).
 
Il numero dei casali non è stato mai fisso nel secoli, perché alcuni,(quelli più piccoli) scomparivano in quanto assorbiti da quelli più grandi, come avvenne per Arcus Pintus e villa Cantarelli, incorporati da Afragola; Porzanum e Lanzasinum da Arzano; Pollanella e S. Severinum  da Miano; Sirinum e S. Ciprianus da Barra; Balusanum e Turris Marani da Marano; Tertium da Ponticelli; Malitelllum e Carpignanum  Da Melito (Malitum); Grambanum e Capitanumad S. Jeogium, incorporati  da S. Giorgio a Cremano; Sola e Calastum  da Turris Octava che divenne poi Torre del Greco.



Il primo documento che parla di quantità di casali di pertinenza del territorio intorno a Napoli è un cedolare angioino riguardante la riscossione delle imposizioni fiscali dette collette (tale imposta era dovuta secondo il numero dei fuochi, cioè nuclei familiari, che risiedevano nell’insediamento rustico ed era  denominata per questo “ Focatico”) in cui sono registrati  43 casali secondo la trascrizione dello storico dell’epoca , il  Chiarito.

Si dovrà giungere infine a poter affermare che la definita  istituzione dei Casali, fu il 26 febbraio 1266 , dopo che l’esercito francese di Carlo d’Angiò, sconfitti gli Svevi nella battaglia di Benevento, ebbe la via libera per Napoli, e per ringraziare la cittadinanza per l´aiuto e la devozione che gli fu dimostrata, diede alla popolazione delle concessioni prima di partire per Palermo, (come è riportato nella fonte storica “ Liber donationum “). Una di queste concessioni fu quella di istituire i casali, che venivano detti anche “vichi” o “paghi”(dal Latino) nell’antica divisione ed organizzazione del territorio romano.

 infatti sia i vichi, che i Paghi, erano indicazioni antiche di un  territorio rurale, distante dal centro abitato della città.

( I Vichi , (dal latino Vicus) stava per «quartiere, borgata» e quindi «centro abitato, villaggio»]Tale termine è stato poi adoperato in riferimenti storici, come  elemento di parecchi toponimi ( Vico Equense , Vico Pisano, Vicovaro , Lago di Vico , ecc.).


I Paghi, (dal latino Pagus)  – erano nell’antico territorio di Roma (e anche nel territorio gallico), dei distretti campagnoli; il pago era considerata l’unità territoriale fino a quando mantenne il suo  solo carattere  rurale..)



Con l´avvento di Alfonso d´Aragona, il 28 febbraio 1443 il Re dispose un censimento a fini fiscali detto numerazione dei focolai. Da questo censimento vennero esonerati i casali, creati dagli angioino, evitando cosí di pagare “li 42 carlini a fuoco”, previsti dal censimento, godendo gli stessi privilegi, prerogative ed immunitá della cittá di Napoli.

Senza calcolare Torre del Greco, che nonostante rientrasse nel territorio di Napoli, non era considerata casale ma castello ben munito, i casali erano 36, e divisi in 4 zone: 8 lato mare, 10 entro terra, 10 nella montagna di Capodichino, e 8 appartenenti al monte Posillipo :

Quelli del lato mare – la costiera destra sotto il Vesuvio erano -

Torre Annunziata, Resina, Portici, San Sebastiano, San Giorgio a Cremano, Ponticelli, Varra di Serino, San Giovanni a Teduccio.

Quelli del lato terra – dell’entroterra -

Fraola, Casalnuovo, Casoria, San Pietro a Patierno, Fratta Maggiore, Arzano, Casavatore, Grumo, Casandrino, Melito.

Quelli del lato montagna di Capodichino –Lato Nord-Est

Marano, Mongano, Panecuocuolo, Secondigliano, Chiaiano, Calvizzano, Polvica, Piscinola, Marianella

Quelli del lato montagna di Posillipo –Lato Ovest

Antignano, Arenella, Vomero, Torricchio, Pianura, S. Strato, Ancarano, Villa Posillipo.


 


I nomi di certi casali si riconoscono anche oggi, e tra quelli che oggi sono quartiere di Napoli, troviamo:
Varra di Serino, che oggi é il quartiere Barra.
S. Strato, borgo di Posillipo con la sua chiesa dedicata al Santo sulle rovine di un vecchio tempio Romano, proprio nell´anno dell´istituzione dei casali, 1266.
Polvica o Pollica, la sua ubicazione é segnalata a occidente sul monte dei Camaldolesi, quindi è stato incorporato come pure i Camaldoli nel quartiere di Chiaiano.

Il Casale del Vomero invece, ci viene descritto come una contrada sulla collina di Napoli verso oriente, dove i Napoletani nel mese di ottobre concorrono in folle, per godere di quell´aria, della veduta, e del vago orizzonte. 
Piscinola, Piscinula sotto la corte Angioina, era conosciuta per la sua produzione di lino, canape, vino, e frutta.
Secondigliano, addirittura segnalato in provincia di terra di Lavoro, come casale, era conosciuto per la sua produzione di grano, legumi, canapa, e pregiatissimi lini. 

Pianura, villaggio con la popolazione dedita all´agricoltura ed al trasporto di piperno.
Torricchio, che oggi é il quartiere Materdei, Gaetano Nobile nella sua descrizione di Napoli, scrive che sino a cader del secolo XVI, questo luogo veniva chiamato il Torricchio, da una piccola Torre Baronale, che sorgeva dalla sommitá della contrada.
Tra i casali che sono diventati cittá autonome abbiamo Fraola e Mongano, che diventano Afragola e Mugnano, mentre Panecuocuolo era un villaggio, dove oggi sorge Villaricca
A. Summonte nella sua “Historia della Cittá e Regno di Napoli” descriveva cosí i casali di Napoli:
“Questi casali sono abbondantissimi di frutti, dei quali se ne gode tutto il tempo dell´anno, ancora sono fertilissimi di vini preziosi e delicati, di frumento, di lino finissimo, e canapa di gran qualitá, di bellissime sete, vettovaglie di ogni sorta, selve, nocellami, polli, uccelli,



In definitiva, i casali, appartennero interamente al cosiddetto “ Regio Demanio”, e godettero di esenzioni fiscali. Successivamente quando il regno di Napoli era sotto la dominazione spagnola ed i Viceré presero l'abitudine di vendere i casali demaniali per impinguare le casse dello stato iberico. Tale vessazione vicereale ( la vendita dei casali) creò numerose proteste, fino a che Carlo V sali al trono ed accordò nel 1536 lo " JUS PRAELATIONIS "(il diritto di prelazione), ovvero la facoltà dei casali  di riscattarsi; tuttavia, l'ordinanza ebbe un effetto deleterio sulle finanze locali e a molti casali mancò la possibilità economica di esercitare il riscatto; altri invece furono costretti a rivendersi per liberarsi dai debiti contratti.
 L'ordinanza di vendere i casali demaniali continuò fino  al 1637, quando vi furono tante  proteste armate, che esplosero definitivamente  unendosi, poi, alla storica  rivolta di Masaniello, da parte prima tra alcuni casali e poi in tutto il regno. Con l'abolizione del feudalesimo i casali divennero comuni autonomi, ma il legame con la città  di riferimento rimase inalterato, con la quale condivideva consumi ed osservava gli stessi obblighi giuridici e amministrativi, divenendo così l’istituzione territoriale detta “ Provincia”..

venerdì 7 settembre 2018

Debito Pubblico - 5 ^ puntata -



Debito Pubblico  - 5 ^ puntata
Siamo alla conclusione della conoscenza e della delucidazione del cosiddetto “ Debito Pubblico “ , delle preoccupazioni che suscita tra le persone che seguono le notizie di politica economica, cosa accadrà domani.


Speriamo con questa pratica delucidazione di essere riuscito nell’intento di averti fatto conoscere da dove deriva il termine “ Debito Pubblico”  e perchè  è diventato cosi alto,  perché se ne parla così tanto, oggigiorno, in modo quasi assillante e spaventevole, presago  di quale disastro economico.

“Questo vi volevo domandare , mio caro Professore Sasà “. Mi intimò con tono austero ed invitante quasi a volermi chiedere una soluzione   a questo problema apparentemente senza via d’uscita imminente, l’amico Tore Castagna.
Dopo una breve pausa e dopo aver sorseggiato un'ulteriore buona tazzina di caffè, proseguii la mia  spiegazione, rassicurando il mio carissimo amico Tore  dicendogli:
“I titoli di Stato sono da sempre considerati le forme di investimento finanziario col minore rischio finanziario, e quindi, anche,  se col minore rendimento che si ottiene (interessi), rispetto ad esempio alle azioni ( il dividendo non sempre attivo), e tutto questo per il fatto che la dichiarazione di insolvenza del debito pubblico ovvero il fallimento dello Stato emittente, è considerato, nel mondo moderno e nelle economie solide, un evento poco frequente, sebbene nell’ultimo decennio  si sono avute alcune eccezioni quali i casi  di  (Argentina, Islanda e Grecia)."

"Ora occupiamoci di cosa s’intende per Debito Primario o Debito Supremo di Uno Stato, Come preannunciato all'inizio della nostra conversazione". Prosegui continuando: "  Per debito primario o supremo,  detto anche - Debito internazionale -, è quel debito che si configura come il complesso dei prestiti esteri accesi allo scopo di  colmare un disavanzo, delle partite di beni e servizi acquistati e quelli venduti  presso  paesi esteri,  e non si riesce  ad onorare il risultante debito, neanche con compensazioni, sia monetarie che finanziarie, (cioè un paese che  manca dei mezzi di pagamento  accettati dal paese creditore.)"

E’  ‘na materia accussì cumplicata, ca  ‘e vote ‘nce capische cchiù niente, pure pecchè, simme trasute nell’Era  della globalizzazione, dove tutte è cagnate ed Je nun ‘nce raccapizze niente”. MI interruppe il caro Tore Castagna,
“Non ti preoccupare, non ti affliggere, desidero solo dirti per finire questa nostra conversazione, cosa è Lo Spread, I Btp italiani ed i Bund tedeschi.”


Cosi ripresi e continuai .” Diciamo subito che il riferimento del funzionamento attuale dei mercati finanziari ha una sua  regola, che stabilisce che il rischio dei titoli di credito di un qualsiasi Stato, ( nella misura della sua affidabilità da parte dello stesso, nell’onorare principalmente sempre i suoi debiti contratti),  è quasi nullo, e per la qual cosa quello Stato è ritenuto molto solido.
Data questa premessa, (esempio la Germania  i suoi  Titoli di debito pubblico sono considerati  privi di rischio, in quanto ancorati ad un’economia, quella tedesca, che nell’ambito dell’area dell’Euro è nota come la più forte e quella che oggettivamente. sta meglio". 


BTP e BUND , quindi, sono entrambi titoli dello Stato e precisamente : il  Btp, acronimo di "Buono del Tesoro Poliennale" è un titolo a tasso fisso emesso dallo Stato italiano ed ha una durata variabile che può andare dai 3 ai 30 anni, mentre il Bund è invece l’omologo titolo di credito tedesco, come il BTP italiano, ugualmente a tasso fisso emesso della Germania su varie scadenze a più anni.
 “Ma cosa è esattamente lo Spread “,  carissimo  professore Sasà, che ci importa a noi dei titoli tedeschi, già tenimme ‘ e guaie nuoste ?”  quasi arrabbiato mi redarguì il buon Tore Castagna.
Facciamo ancora una volta chiarezza e precisiamo : 
“Lo spread . (negli anni 80 e 90 era il divario tra i Btp a tasso fisso  e i Cct a tasso variale ancorati al rendimento delle cedole dei bot  a 6 mesi ), attualmente è, inteso come, la differenza tra il tasso di rendimento di un Btp e di un Bund su una scadenza di 10 anni. In altri termini è il differenziale tra il rendimento del titolo decennale italiano e quello tedesco.
Quanto maggiore è lo spread, tanto più alto è il rischio che il mercato percepisce associato al Btp italiano. In altre parole si hanno maggiori i dubbi quando lo spread sale sulla capacità dello Stato italiano di rimborsare regolarmente i propri debiti. Per cui uno spread alto, ampio, sta a significare che il mercato ha paura e che richiede rendimenti più alti per investire su titoli dello Stato italiano. (cioè i btp italiani devono avere un tasso d'interesse più alto e questi interessi pesano sulle nostre spese).


Ora, occupiamoci del rendimento del titolo, non è il semplice guadagno degli interessi  annuali delle 2 cedole semestrali, ma  si deve aggiungere o diminuire anche la differenza che si guadagna o si perde quando il titolo è venduto prima della scadenza e quindi rimborsato al valore del titolo del capitale di quel momento sul mercato. inizialmente pagato inferiore del valore nominale od alla  pari .
(Rendimento titolo è dato dalla formula (Interessi + (valore rimborso - prezzo acquisto)) /prezzo acquisto.


In definitiva  il Debito Pubblico Italiano  alla data del 31 maggio 2018  
( fonte  Banca D’Italia)

 COMPOSIZIONE DEI TITOLI DI STATO
in circolazione al 31 MAGGIO 2018
Tipologia titolo
mln. €uro
%
BOT
112.752,28
5,73%
BOT Flessibili
0
0%
CCTeu
133.108,24
6,76%
CTZ
43.626,51
2,22%
BTP
1.403.832,38
71,32%
BTP €i (rivalutato)
158.629,56
8,06%
BTP Italia (rivalutato)
74.201,40
3,77%
BTP atipici
313,664
0,02%
Estero in €uro
39.589,44
2,01%
di cui Titoli Ispa
8.620,81
0,44%
Estero in valuta
2.208,37
0,11%
Totale
1.968.261,84
100%
Vita Media del Debito
6,87
N.B. Il debito estero è valorizzato dopo operazioni di swap sulla valuta.
BOT 5,73% 0,00% CCTeu 6,76% CTZ 2,22% BTP 71,34% BTP €i (rivalutato) 8,06% BTP Italia (rivalutato) 3,77% Estero in €uro 2,01% Estero in valuta 0,11% BOT 5,73% CCTeu 6,76% CTZ 2,22% BTP 71,34% BTP €i (rivalutato) 8,06% BTP Italia (rivalutato) 3,77% Estero in €uro 2,01% Estero in valuta 0,11%

"Allora avimme fernute! agge capite e nun agge capite, ma grazie 'o stesse. e, comme a sempe, site stato chiare, semplice e grazie assaje. buona giornata mio carissimo professore Sasà !".