domenica 19 ottobre 2008

Storia di Chiaiano 6^ punt/ frutti della terra


Capitolo Undicesimo

Chiaiano nel dopoguerra come si viveva quotidianamente negli anni dal 1948 al 1954



le castagne della selva di Chiaiano



Castagne lesse che si mangiavano come prima colazione








Castagne arrostite e tostate su una teglia bucata sul fuoco 
(le famose caldarroste, chiamate pure ‘e Verele)





La vita quotidiana pur lentamente riprende, la fame, la prima e più grande emergenza, fu soddisfatta grazie ai raccolti abbondanti di frutta e verdura negli appezzamenti agricoli della zona, non dimentichiamo che in quegli anni la maggior parte del territorio di Chiaiano era ancora prevalentemente agricola.
Si raccolsero derrate e prodotti agricoli vari, come broccoli, insalate, fagioli, patate ed ortaggi, nate spontaneamente, mentre la frutta curata amorevolmente da bravi contadini, in quegli anni, fu molto abbondante.

 Si ebbero fichi, cachi, noci, mele, prugne persino carrube (‘e Sciuscelle) e nell’attigua selva, (che si estendeva per circa un buon tre quarti dell’intera estensione della circoscrizione), che era ricca di un florido castagneto, si poterono raccogliere tantissime castagne, (fu una grande regalo della nostra amata selva) ed ogni famiglia poté riempire il suo buon sacco di iuta di ottimi marroni (castagne) e così svernare e sfamarsi e se ne approvvigionarono anche le famigliole dei paesini viciniori, il tutto gratuitamente.


Pianta di fico spontaneo
Pianta di Cachi (detta pure Legnasanti)
     
Albero di noci in fase di maturazione

Melai di mele annurche ( sole e paglia maturano)

                               

Carrube appena raccolte ( 'e sciuscelle)




Si consumò quel regalo (le castagne) del bosco pubblico senza padroni privati in vari modi, sbucciate e bollite con acqua, e se ne traevano delle gustose zuppe; cotte poi al forno con tutta la buccia e, dopo averle fatte raffreddate, erano infilate con lo spago, si consumavano a cena o come spuntino serale; alcune volte erano arrostite e tostate su una teglia bucata sul fuoco (le famose caldarroste, chiamate pure ‘e Verele).
La mattina, infine, quel gustoso frutto di bosco (le castagne) era mangiato come prima colazione, facendo la famosa “ Allessa” gustandola in una ciotola, avendo cura di togliere la pellicina una volta lessa, che avvolgeva ancora il frutto (la castagna sbucciata detta anche vallena), erano quelle lesse senza buccia.
Non volendo perdere tempo, spesso, erano cotte con tutta la buccia, erano dette (‘E Palluottele) ed il frutto interno si succhiava.
Era un metodo povero, ma economico per sfamarsi e sopravvivere e per sentirsi poi satolli, grazie alla grata e generosa Selva (Severa).
A quell’epoca nel quartiere di Chiaiano non era in uso l’acqua potabile con rubinetti nelle proprie abitazioni, per la qual cosa, l’approvvigionamento del prezioso liquido avveniva, quando c’era, da fontanili pubblici per lo più fontane di circa un metro e mezzo d’altezza a forma di colonna di ghisa, collocati uno per ogni strada principale o vicolo, quando la distanza era abbastanza lunga dalle abitazioni.

Tipico fontanile pubblico  di ghisa utilizzato nel dopoguerra







L’acqua veniva attinta dai questi fontanili pubblici per mezzo di recipienti vari, di alluminio o di rame, 
 
Secchi di alluninio zincato per il trasporto dell'acqua potabile dai fontanili.








i famosi secchi con il manico avente una capacità media di 10/15 litri, (note erano le Valanzole, bastone di legna a mo di asta di bilancia, dove erano appesi due secchi ed il loro peso era bilanciato nel trasporto poggiato su una spalla)

 
Questa era il tipo di bilancino ( detta Valanzola) per trasportare due secchi d'acqua



 
 o con recipienti di vetro utilizzati per contenere acqua da bere o per cucinare, come lo erano bottiglie di vetro da un litro, da bottiglioni sempre di vetro da cinque o da dieci litri,(‘e Pizzipapere) o da fiaschi di vetro impagliati da un litro e mezzo, e da damigiane da 30 o 50 litri.





 


 piccola botte facilmente trasportabile a spalla
dette ( 'o Vuttazzielle o Quartarule)

Tinozza di legno ,( 'o cupiello per fare il bucato)





Venivano utilizzati contenitori perfino di legno, come lo erano delle piccole botti facilmente trasportabili a spalla (‘e Vuttazzielle, dette pure Quartarule)’ o bigonci (‘e Cupielli) anch’essi trasportabili però con l’ausilio di due persone aventi dei manici da impugnare, per contenere l’acqua da utilizzare per fare il bucato o lavaggi in genere.
Era un lavoro immenso e faticoso, adesso che se ci penso, ne sono passati d'anni, mi sono rimasti i calli nel palmo delle mani per quanti secchi ho trasportato dalla fontanina davanti al mio palazzo (nella Via Barone 19) fino alla dimora, che si trovava al primo piano. La fontana o meglio il fontanile, era fatta di una tronca colonna di ghisa, alta un metro e mezzo circa, larga venti centimetri di diametro ed aveva un beccuccio innestato su una faccia di leone impressa, era la decorazione della fontana, (il classico mascarone ‘e funtana).



Fontanile di ghisa ( il classico mascarone 'e funtana)



La mezza colonna aveva un coperchio, come un cappuccio anch'esso di ghisa a punta, apparendo un elmetto dell’esercito prussiano ed una manopola ruotante sulla destra a molla, quasi fosse un orecchio, per permettere all'acqua di fuoriuscire dal beccuccio all’occorrenza.
La fontana aveva spesso tutto intorno, uno slargo, dove spesso esisteva un sedile di pietra, quasi fosse un poggio, dove ci si poteva accomodare nell’attesa del proprio turno per prendere il prezioso liquido.
Era un sistema di fontane, previsto dall’Acquedotto campano del Serino, per portare quanto più possibile l’acqua potabile nei pressi delle abitazioni, per cui erano state ubicate nel Borgo di Polvica, (in Via Barone altezza del numero civico 19, al Corso Chiaiano venendo da Piazza Nicola Romano all’angolo del vicolo Croce altezza traversa Monteasi, in Via Chiesa di Polvica, di fronte alla Parrocchia di San Nicola, in Via Arco di Polvica nei pressi dello Scassacarretta e del palazzo delle case Marotta, in Piazza arco di Polvica presso la proprietà La Terza e per finire ce n’era una in Via Croce vicino all’edicola votiva dell’altarino della Croce e, dove generalmente, poiché era fuori mano e non molto affollata, attingevano l’acqua i contadini con grossi botti su un carretto trainato da un cavallo od un asino).
Nel Quartiere di Chiaiano venendo dalla Strada Santa Maria a Cubito, (la prima fontana la s’incontrava presso il negozio del pescivendolo, poi divenuto Osteria ora bottega di materiali edili, la seconda all’incrocio di Via Ponte sulla Sinistra ora c’è un giardino con la sede del Calcio Chiaiano, una terza abbastanza grande all’angolo di Via XX Settembre e sulla fine del tratto del Corso Chiaiano c’era la Fontana del Municipio, continuando per Via Napoli di Chiaiano s’incontrava nel mezzo del percorso un’altra fontana e si finiva con una fontana di pietra a forma di parallelepipedo proprio nel mezzo della Piazza Margherita.)

Girando per Via Tiglio, (c’era la fontana del Pendino, nota come ‘a Funtane ‘e Reta a Treglia, e continuando la curva nei pressi della Chiesa di San Giovanni Battista ce n’era un’altra a forma di mezza colonna di ghisa.

Imboccando dall’alto Via XX Settembre (un’altra fontana era ubicata all’incrocio di Vico Molino ed un’ultima fontana di ghisa era sistemata nello slargo di Via Ponte,ora Via Aldo Cocchia). Ve n’erano altre ma spesso erano al secco per mancanza di pressione di spinta, come quella di Via Fondina, la fontana nei pressi del Cimitero e quella posta nel caseggiato del Tirone. Con tutti i disagi, non era facile abituarsi a vivere senza acqua, non essendo una rete idrica adeguata, ci si doveva arrangiare, questo passava il convento, insomma l’acqua occorreva e lo stesso la portavamo nelle nostre abitazioni per soddisfare la sete e quant’altro.
Non esistevano fogne, perciò le strade principali apparivano dei perenni rivoli d'acqua sporca reflua, che si riuniva scorrendo sotto i marciapiedi, proveniente da sversatoi delle abitazioni o dalle tubature degli scarichi dei palazzi.
Era una situazione igienica sanitaria al limite della sopravvivenza, (da terzo mondo come si dice ora, eppure si andava avanti, si viveva), ci si vestiva decentemente, con abiti rattoppati, rivoltati, ma dignitosamente indossati senza vergogna, sperando sempre in un mondo migliore. Intanto i professionisti, i terrieri, i negozianti, i ricchi in genere, (ce n’erano), la loro esistenza scorreva in modo del tutto diverso dalla maggioranza della cittadinanza, avevano ogni tipo di servizi domestici a loro disposizione ed i disagi per loro erano minimi, avevano per esempio il gabinetto familiare nella propria abitazione, il focolare a carbone e quasi sempre il camino a legna in casa, mentre tutti gli altri si dovevano accontentare del gabinetto comune nel palazzo o nelle vicinanze con una vasca di contenimento sottostante abbastanza capiente, ma puzzolente, che poi era svuotata, quando era colma dagli Spuzzacessi, (operai pulitori di latrine pubbliche e private, che prelevavano il liquame espurgato con botti nauseabondi)
Le strade erano poi spesso imbrattate dal cosiddetto letamaio (‘a Lutamma), defecazioni animali (cavalli ed asini),che spesso era prelevata dai ragazzi, quando diventava secca e la conficcavano nell’intercapedine, dove era conficcata la punta di ferro della trottola di legno (‘o Strummelo) a mo di cuscinetto per attutire ed eliminare gli sbalzi continui, quando la stessa sobbalzava (teneva A Tettera) e non si fermava in un solo punto (come quand’era a pennella), ossia quando era perfetta).



Continuerà con nuovii capitoli appena possibile
è gradito un commento per incoraggiamento a proseguire

5 commenti:

  1. veramente bravo e piena di verita.continua cosi aspetto la prossima

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  2. Ecco la foto di cui ti parlavo nel precedente commnto. Balcone al vico Molino, mia madre a destra, noi tre figli ed una amica.

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  3. Scusa mia madre è quella a destra nella foto

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  4. Caro Sasà, grazie intanto per gli auguri. Rispondo in ritardo in quanto, anche se pensionato, per fortuna gli impegni non mancano. Riferendomi al Mandolino di zio Vincenzo dico che la mia non voleva essere una richiesta in quanto so di certo di quanto mi hai detto, ho voluto esprimere senz'altro un sentimento pur sapendo della impossibilità della realizzazione del desiderio, comunque ti ringrazio per aver considerato il mio pensiero.Ritornando alla storia dico che chi come noi, adulti da tempo,non ha più riferimenti reali del proprio passato,con questa Tua magnifica elaborazione ha ritrovato "IL RIFERIMENTO". Questo è quanto successo al sottoscritto, che, purtroppo dall'anno 2000 non ha più i suoi riferimenti reali. E' implicita la richiesta di andare avanti portando alla luce sempre più fatti, notizie e curiosità della nostra Chiaiano. In conclusione e salutandoti dichiaro di non essere MAI stato orgoglioso di Chiaiano come lo sono adesso,questo grazie a te.

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  5. il commento di sopra è del chiaianese doc antonio Russo

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