domenica 30 settembre 2007

La Leggenda dell'albero del Gelso


 L a storia d'amore di Tisbe e Piramo









Agli albori della Civiltà nei pressi della Città di Babilonia, tanto, ma tanto tempo fa, in due case contigue nacquero, Piramo, un bambino bellissimo, e Tisbe,una splendida bimba. I due bimbi, data la vicinanza, ebbero modo di conoscersi e tra loro nacque una fraterna amicizia. Col tempo l’amicizia si tramutò pian pianino in amore e si sarebbero uniti sicuramente in giuste nozze, se non ci fosse stata la proibizione dei loro padri.
La proibizione non riuscì ad allontanarli, anzi più forte nacque tra i due un’infatuazione reciproca, che divampò in un amore irrefrenabile.
Non potendo amarsi liberamente alla luce del sole i due giovani s’accontentavano di parlarsi a cenni ed a gesti, quando si scorgevano da lontano. La notte, poi, comunicavano attraverso una fessura, che esisteva nel muro, che separava le loro case.





Tisbe che amoreggia attraverso la fessura nella parete




Tale fessura fu scoperta dai due innamorati (cosa non scopre l’amore) e, attraverso essa comunicavano il loro amore con dolci frasi e languide parole appena appena sussurrate. Non potendo darsi baci, se la prendevano col muro dicendo : “ Muro cattivo, perché ostacoli il nostro amore, perché non ci permetti di unirci con tutto il corpo? “.Una sera, infine, dopo il consueto incontro amoroso e dopo un’effusione di baci (che non sarebbe mai arrivata di là della fessura), che ciascuno dei due innamorati dava sulla sua parte di muro, decisero l’indomani di lasciare le loro abitazioni durante la notte, quando le loro famiglie si fossero addormentate.
Decisero, poi, che si sarebbero incontrati lontano dall’abitato nei pressi del sepolcro di Nino, che era stato un vecchio patriarca molto onorato dalla loro gente, dove c’era anche un albero di gelso sull’orlo di una freschissima fonte.
Non appena calò la notte, Tisbe, avvolto il viso con un velo, lasciò la propria abitazione e con una torcia s’incamminò verso la meta stabilita. Giunta per prima, si sentita ardimentosa, ma all’improvviso nella vicina boscaglia intravide una leonessa, che dopo aver fatto strage di buoi, si dirigeva verso la fonte, che le stava accanto. Incominciò ad aver paura e senza capire più nulla, pensò di fuggire e nascondersi nel sepolcro lì accanto. Nella fuga perse il velo, che fu preso dalla leonessa, che v’inciampò sopra e strappandolo lo sporcò con il sangue, che gli sgorgava dalle fauci.


La ciità di Babilonia coi i suoi minareti all'epoca della leggenda di Tisbe e Piramo
fuori  le mura si scorge la leonessa, 

che va verso la fonte per abbeverarsi







Piramo, giunto poco dopo, scorse anch’egli la leonessa, che stava allontanandosi e riconoscendo il velo di Tisbe, strappato, pensò che la fanciulla fosse stata sbranata e mangiata, perciò folle di dolore, invocò la terra e l’albero di gelso di accogliere anche il proprio sangue. Giacché non era stato capace di difendere il suo amore, si cacciò nella pancia il pugnale che portava al fianco e cadde supino sprizzando in alto il suo sangue, che finì sul suolo e sull’albero antistante.
I frutti della pianta, spruzzati di sangue da bianchi, divennero scuri, mentre le radici si tinsero di rosso. Tisbe, ignara di ciò che era avvenuto, calmata la paura, tornò sui suoi passi ed appena s’accorse della tragedia e capendo il perché a causa del velo insanguinato, iniziò a piangere ininterrottamente riempiendo la ferita di Piramo, che stava morendo, di lacrime struggenti, che si mescolarono al sangue ancora caldo del suo amato




Dipinto di Tisbe e Piramo sotto l'albero di Gelso




A questo punto Tisbe baciandosi il suo Piramo morente. Invocando anch’essa la morte, disse : "La mano e quell’amore che ti hanno ucciso, daranno la forza anche a me di seguirti per sempre anche nella morte", e così brandito lo stesso pugnale, si uccise.
Il sangue di Tisbe si mescolò a quello di Piramo e penetrò nelle radici della pianta e gli dei commossi fecero sì che i frutti di gelso da bianchi, quando diventano maturi sono neri , come se fossero a lutto e grondante di rosso, come il sangue quando si consumano.





l'albero di gelso nella prima fioritura prima della tragedia di Tisbe e Piramo







Frutti di gelso diventati maturi per essere mangiati














Questa antichissima leggenda orientale divenne ai tempi dei romani un classico trattato nellle famose metamorfosi di Ovidio e fu  ripreso nel Medio Evo  come un un classico letterario, da cui attinse sicuramene shakespeare per il suo romanzo  " Giulietta e Romeo".



mercoledì 26 settembre 2007

Il Mito di Narciso


Chi era “ Narciso, e che rappresenta ? Vi piace saperne di più ?
EccoVi ……..accontentati.



Diciamo subito che Narciso, personaggio mitico dell’antica Grecia (conosciuto anche come Narcisso) era figlio del fiume Cefisio e della Ninfa Liriope.
Era un bellissimo fanciullo dai lineamenti così perfetti, che nessuna ninfa potè sfuggire al suo fascino.
La Ninfa Eco, poi, innamoratasi di lui perdutamente, vistasi da questi derisa e disprezzata, scappò via delusa , vergognandosi ed avvilendosi nel folto bosco, vivendo poi in perfetta solitudine con un solo pensiero nella mente, la sua passione per il bellissimo Narciso.


Narciso ed  Eco

  Questo amore struggente la portò a non interessarsi più del suo corpo, che  deperì vistosamente col tempo, finchè scomparve del tutto, rimanendo solo la  sua voce. La presenza della ninfa "Eco" si manifestò, in seguito, solo con la voce, che continuò a ripetere le ultime parole che le venivano rivolte.
Nemesi, Dea della Giustizia e della Vendetta, che impietositasi della fine di Eco, decise di punire Narciso per l’indifferenza e la non curanza dimostrata nei confronti di chi gli offriva amore ricevendone, come compenso, solo disprezzo.
La punizione consistette nel fatto che Narciso, scorgendo per la prima volta la sua immagine, riflessa nell’acqua, all’età di sedici anni, quando curvandosi su di una delle tante sorgenti dell’Elicona, ne
lla regione della Tespia in Boezia, se ne innamorò morbosamente.




Narciso che si specchia in una sorgente



Volendo soddisfare l’amore che destava la sua passione, cercò invano di afferrare quel volto, che appariva nell’acqua ( la propria immagine) ed affogò.
Le Naiadi e Driadi , accortesi dell’accaduto tentarono di prendere il suo corpo inerme, ma nel tirarlo su dall’acqua per collocarlo sul rogo funebre, s’accorsero con grande stupore ( dalla parola Narke in greco) che il cadavere era stato trasformato in un fiore per volontà degli
dei dell’Olimpo.



il fiore acquatico del Narciso


Narciso, secondo gli antichi, rappresenta l’esaltazione del proprio Io, sia fisicamente che interiormente, che disprezzando il mondo esterno e non si considera parte integrante. In fondo ,anch'egli va in cerca di una cosa sola, l'amore, come ogni creatura che popola questa terra.


Con questo personaggio si completa la concezione dell’amore iniziata con
  “ Pigmalione” “Adone” ed " Ermafrodito".

martedì 25 settembre 2007

Il mito dei Dioscuri


Lo sapevi che il segno zodiacale dei GEMELLI ha origine dalla leggenda dei “ DIOSCURI, “
 i famosissimi gemelli " CASTORE E POLLUCE ?
Vuoi conoscere la loro storia e perché molte città nei monumenti, più rappresentati, vi hanno statue o bassorilievi con le loro immagini?


Eccovi accontentato.


I Dioscuri sono degli eroi, e come Ercole semidei, ossia esseri generati da mortali e da Dei. La parola DIOSCURI, (dal greco Dios-Kuroi) sta a significare che erano figli del Dio supremo, Zeus o Giove. Giove, infatti, li concepì, facendosi amare da Leda ed unendosi a lei sotto le sembianze di cigno, che li partorì sull’isola di PEPHNOS nel golfo di Messenia imponendogli i nomi di CASTORE E POLLUCE. Furono chiamati, in seguito anche Tindaridi, poiché LEDA, la loro madre, era regina di Sparta e sposa di Tindaro.

 
Dipinto di Leonardo, che ritrae la regina di Sparta, Leda
mentre amoreggia con un cigno e guarda i due figlioletti
 (gemelli Castore e Polluce)

 


 Leda partorì sulla stessa isoletta, anche un’altra coppia di gemelli, questa volta però, di sesso femminile, Elena e Clitennestra, che tanto interferì con l’esistenza dei Dioscuri.
Per volere di Giove, il loro divino genitore, Castore e Polluce, furono chiamati ad essere custodi di Elena, la loro divina sorella. A causa di quest’ultima i due fratelli incontrarono la morte per opera dei cugini, anch’ essi gemelli, i fratelli di Messenia, noti come gli Afaretidi, (IDAS “Il gigante” e LINCEO ”occhio di lince”), figli di Poseidone o Nettuno, mentre la loro madre era Arene, sposa di AFAREO, re di Messene.
Tra le coppie dei gemelli cugini non correva buon sangue, a seguito del rapimento eseguito da parte dei Dioscuri delle promesse spose degli Aferetidi, le sorelle gemelle (Ileira e Febe), note come le Leucippidi. Sorse così una contesa, che fini tragicamente durante il banchetto, che Castore e Polluce avevano preparato in onore della venuta di Paride ed Elena nella loro tenuta di Laconia. Castore e Polluce avevano preparato per l’occasione un agguato ai cugini (Idas e Linceo), che alla fine risultò inutile, poichè ebbero la peggio.
 Infatti, Linceo (occhio di Lince) scopri il tranello e riuscì con il fratello Idas ad uccidere Castore.


Polluce, alla visione del fratello ucciso, chiese al padre Giove di dare anche a lui la stessa sorte, perché non sarebbe potuto sopravvivere senza l’altro gemello. Giove gli propose la possibilità di vivere un giorno nell’Olimpo e un altro giorno negli Inferi, così non si sarebbero mai separati. Polluce accettò, perciò di giorno dimoravano negli inferi e di notte in cielo. Nelle sere senza nuvole si possono ammirare nella costellazione dei “ GEMELLI “, come stelle luccicanti e splendenti. I Greci ed i Romani li veneravano come Dei tutelari della patria, erigendo grandi statue con le loro effigi per onorarli, come si può riscontrare a Sparta sulla riva del fiume Eurota e a Roma all’entrata della piazza del Campidoglio, dove si ammirano due gigantesche Statue di Castore e Polluce, che tengono a freno due destrieri, pronti a soccorrere gli uomini in pericolo.





Le imponenti statue marmoree di Castore e Polluce nella piazza del campidiglio a Roma
  a salvaguardia  della città di Roma, quali dei tutelari della Patria.




A Napoli il loro culto era molto sentito, e le loro effigi si potevano ammirare sul portale del tempio a loro dedicato e trasformato nel Medio Evo in chiesa cristiana, quella di San Paolo Maggiore.
 





Il tempio dei Dioscuri ( Castore e Polluce) come si presentava a Napoli all'epoca romana





Colonne centrali della chiesa San Paolo Maggiore,
facente parte del colonnato del tempio romano dei Dioscuri



































Chiesa di San Paolo Maggiore a Napoli, in piazza San gaetano di Thiene, che fu soprapposta all'antico tempio dei Dioscuri, nei pressi dell'Agorà partenopea, che si trova alla fine  del lato supreriore della stradina di San Gregorio Armeno, dove sono situati i famosi negozi, che vendono delle statuine  colorate di terracotta, che vengono utilizzate per allestire i caratteristici presepi nel periodo di Natale.



 





lunedì 24 settembre 2007

Il Mito di Ermafrodito


Chi era “ Ermafrodito” e che simboleggia ? Vi piace saperne di più ?
EccoVi ……..accontentati.



Parlare di Ermafrodito a prima vista può sembrare imbarazzante, perché si deve trattare l’argomento sesso, ma gli antichi Greci vivevano senza alcuna inibizione insegnandoci che tutto quello, che ammiriamo e ci gira intorno, è frutto della natura, e non può essere considerato riprovevole.
Ermafrodito nacque dall’unione di due Dei, considerati gemelli, poiché avevano il giorno di nascita comune, (cioè il quarto giorno di ogni mese lunare)

Ermes ( mercurio)





Statua della dea  Afrodite (la dea della brellezza)




 
 Ermes (Mercurio)  ed   Afrodite (Venere), erano:
Entrambi erano figli di Urano (il cielo notturno) e di Emera (la luce del giorno)
Afrodite, partorito Ermafrodito e, non potendo tenerlo con sé, appena bambino l’affidò alle cure delle Ninfe del Monte Ida, dove fu allevato in una grotta.
I lineamenti del fanciullo rimarcavano sia quelli del padre ( Ermes = mercurio), che quelli della madre (Afrodite =venere),  era una bellezza divina.
All’età di quindici anni il fanciullo lasciò i monti della sua infanzia ed andò in giro per tutta l’Asia Minore ammirando soprattutto le acque (Laghi, Sorgenti. Fiumi, Stagni).
Girovagando senza meta alla fine giunse in Caria, presso la magnifica sorgente della ninfa Salmakis (Salmace).
Salmakis (Salmace) non era la solita ninfa, che passava il tempo ad andare a caccia per i boschi, ma stava tutto il giorno a pettinarsi i lunghi capelli ed ad ammirare se stessa nello specchio dell’acqua della sua sorgente


Ermafrodito e salmace alla Sorgente




Nell’avvicinarsi alla sorgente Ermafrodito fu scorto da Salmakis, che attratta dalla sua bellezza subito se ne innamorò, senza riuscire però a sedurlo,.
Ermafrodito, respinse le avance della ninfa, ma desideroso di farsi un bagno nelle limpide e fresche acque, entrò nella sorgente.
Mentre s’immergeva, Salmakis riuscì ad abbracciarlo, anche se respinta, ed invocando gli Dei Olimpici, ottenne dagli stessi di diventare un tutt’uno con il figlio di Ermes ed di Afrodite, cioè un corpo solo con i caratteri genitali dei due sessi ( maschile e femminile) che da quel momento ( il giovane figlio di Ermes e di Afrodite) venne chiamato Ermafrodito.
All’inizio Ermafrodito veniva confuso con Eros (il dio dell’amore) anch’esso ritenuto figlio di Ermes e di Afrodite, ma quest’ultimo aveva solo un aspetto di un fanciullo dalla bellezza femminea.

Ricapitolando sulla concezione dell’amore gli antichi Greci ci hanno tramandato l’insegnamento, che dell’amore non se ne può fare a meno e bisogna che lo si rispetti sempre in ogni sua manifestazione, perché è il collante, che ci permette di vivere tutti insieme in armonia..

domenica 23 settembre 2007

I Dattili Idei - il mito dei Giochi Olimpici

Volete saperne di più : su “ I DATTILI IDEI “?  Chi erano ?
- Eccovi accontentato.
Prima di tutto diciamo chi erano i “DATTILI IDEI“ : Erano gli Dei del monte Ida, 



Grotta sul monte ida  dove fu nascosto Il piccolo Giove



 il monte in cui nacque Zeus (per i Greci) Giove (per i Romani), che assistettero la madre Era durante il parto e lo tennero nascosto alla vista del padre Crono. Crono non era un padre snaturato, ma, poiché una profezia diceva che un figlio maschio gli avrebbe tolto lo scettro di Dio Supremo uccidendolo, lo avrebbe sicuramente eliminato inghiottendolo. Per evitare che Crono sapesse della sua nascita, Era l’affidò ai Dattili Idei, che riuscirono a nasconderlo durante la fanciullezza e l’adolescenza. Quando Giove riuscì a diventare il Re degli dei dell’Olimpo, i Dattili Idei furono elevati a Dei Olimpici per la loro opera meritoria di averlo protetto durante la crescita.
Nei vari racconti mitologici sono spesso confusi e denominati Cureti o Coribanti, ma nella mitologia classica sono riportati come i cinque dei del Monte Ida e ciascuno rappresenta una specialità nelle arti mediche: i loro nomi “ Peonio, Epimede, Iasio, Idas e Eracle.






Quest’ultimo (Eracle) era il capo dei Dattili Idei, da non confondere con l’omonimo Eracle o Ercole (figlio di Zeus e di Alcamena), e viene ricordato come l’ideatore dei Giochi Olimpici, in quanto organizzò una gara tra i suoi quattro fratelli sulla spianata del monte Olimpo.
Spianata di Olimpia, dove si svolsero i giuochi olimpici la prima volta

sabato 22 settembre 2007

IL Mito di Capo Miseno

Spiaggia di Miliscola con il promontorio di Capo MIseno



Tra i promontori più belli, della costa Campana, che s'incontra lungo le placide e azzurre acque dei golfi di Pozzuoli, di Napoli, di Salerno fino a quello di Policastro, si scorge prepotentemente quello di Capo Miseno, che a forma di un alto tumulo, dà la sensazione di trovarsi innanzi ad una gran tomba, eretta per conservare nei secoli i resti dell’eroe troiano “ Miseno” il trombettiere d'Enea, che morì annegato nei pressi di quella montagna.
Il mito di Capo Miseno deve il suo nome alla figura di Miseno, secondo l’epopea omerica, era un compagno di Ulisse, suonava il corno per allietare i vogatori sulla nave nelle lunghe peregrinazioni, quando durante la traversata di quella zona, per il sopraggiungere di una tempesta, cadde in mare ed annegò. Ritrovato il corpo sugli scogli del promontorio, i compagni lo tumularono sotto la montagna.
Secondo la leggenda virgiliana, era ricordato come il trombettiere d'Enea, era figlio di Eolo (il Re dei Venti) e poiché sfidò follemente gli Dei, asserendo che nessun essere mortale o immortale poteva superarlo quando suonava la sua sublime musica, che era una dolce melodia, che placava ogni malinconia e rendeva sereni gli animi. Per questa sua alterigia, e presunzione irritò un Tritone,

scultura del tritone del bernini



 un essere marino soprannaturale, che mal sopportò la sfida, e così dando fiato alla sua gigantesca conchiglia, generò una tromba d’aria marina tale, che lo trascinò in mare, facendolo annegare. Raccolte le sue spoglie l’indomani lungo la spiaggia del promontorio, Enea coi suoi compagni gli diede una degna sepoltura sulla montagna, facendo innalzare un tumulo di grossi macigni, sotto il quale fu seppellito il suo remo, le armi e la sua tromba,  per far ricordare eternamente quel piccolo eroe. 
Capo miseno visto dal mare




Dalla forma con cui appare il promontorio, quasi come una gobba della montagna da quel momento fu chiamata Capo Miseno in onore del povero suonatore naufrago, Miseno. Sulla collina del promontorio fu costruita poi una villa sontuosa che appartenne nel II sec. a.C. a Cornelia, la madre dei Gracchi, poi fu acquistata da Mario e ceduta infine a Lucullo per 10 milioni di sesterzi, che la trasformò come residenza di lusso grandioso. La villa fu incamerata in demanio imperiale e nel 37 d.C. (come ricorda Tacito) vi morì l’imperatore Tiberio.
Esiste anche una nota dello scrittore greco Stradone, che identifica il promontorio di Capo Miseno, come il paese dei Lestrigoni, esseri giganteschi, che assalirono Ulisse ed i suoi compagni, lanciando dei massi contro la sua nave, uccidendone uno, Miseno.

Il Mito di Adone - L'amore eterno


Chi era “ Adone, e che rappresentò ? Vi piace saperne di più ?
EccoVi ……..accontentati.


L' albero della mirra nell 'isola di Socotra 
Facendo seguito, come preannunciato nella commovente storia di amore, quella di Pigmalione con la statua da lui stesso creata,  Galatea, somigliante Afrodite, ecco a parlarvi di
Adone, mitico personaggio dell’antichità, rappresentante il frutto dell’amore incestuoso tra un padre e una figlia, è un altro esempio di amore, come veniva inteso nelle credenze degli antichi greci, che erano soliti immaginare un connubio tra il naturale ed l’innaturale, giustificando spesso il sottile passaggio dall’ umano all’eterno.
A Cinira, nipote di Pigmalione. fondatore della città di Pafo sull’isola di Cipro, gli nacque una figlia ( Mirra o Smirra), che, appena divenne una leggiadra giovinetta, s’innamorò perdutamente del padre. Mirra si considerava bellissima e spesso si vantava di avere i capelli più belli della stessa Afrodite (Venere) la dea della bellezza e per questo fu punita. La punizione consistette nel fatto che, Mirra, (per volere degli Dei olimpici, che mal sopportavano questi affronti dai mortali), presa da irrefrenabile passione pel padre, con inganno inebriò il genitore con essenze irresistibili e giacque con lui per dodici notti consecutive.
Durante l’ultima notte al bagliore di un lume nascosto Cinira si destò dall’ebbrezza e scorta chi era la compagna di letto e scoperto l’inganno, andò su tutte le furie e brandendo la spada si scagliò con veemenza contro la figlia per ucciderla.


 


Venere ed Adone







Mirra, per sfuggire alla morte e conscia che portava in seno un bambino, concepito in quell’amore proibito, e piena di vergogna, pregò gli dei di scomparire e di non esistere né tra i vivi , né tra i morti.
Padre Zeus (Giove) s’impietosì e trasformò Mirra in un albero, che piange con le lacrime più aromatiche nel partorire il proprio frutto, il frutto del legno ( Adone).



Divenuta albero, Mirra partorì così il suo primo frutto (Adone) che era un bambino bellissimo, tanto che Afrodite (Venere), lo nascose chiudendolo in una cassa, che consegnò a Proserpina o Persefone (la dea degli Inferi) perché la custodisse. Proserpina, incuriosita del contenuto, aprì la cassa e visto il bel bambino , non volle più restituirlo.


Tra le due Dee nacque così una contesa, che, fu risolta da padre Giove con questo verdetto, il fanciullo, finché non diventava adulto, una parte dell’anno la trascorreva da solo, un’altra parte con Proserpina ed un’altra con Afrodite.
Intanto Ares (Marte) roso dalla gelosia per le attenzioni amorose, che Afrodite profondeva per il fanciullo, durante una battuta di caccia fece ferire a morte da un cinghiale il bel Adone, Il cui sangue, spargendosi per tutta la boscaglia, dove ricadeva, faceva sorgere anemoni rossi variopinti, che però appassivano molto presto.
Il Mito di Adone sta a simboleggiare nel cinghiale la stagione invernale, che spegne la vita della natura ( la morte apparente, il periodo che Adone trascorre presso Proserpina negli inferi), e nell’amore eterno voluto da Afrodite finché non si congiunge con Adone, che si manifesta nella rinascita della vegetazione in primavera con il rifiorire nei campi dei primi fiori anche se dopo breve tempo appassiscono.
(le primule – il sangue di Adone)),


Primula rossa




La primula  e denominata anche " Primavera "
perchè rappresenta il primo fiore che rinasce dal letargo invernale





venerdì 21 settembre 2007

Pigmalione - il mito dell'amore superiore

Chi era “ Pigmalione , e perché è ricordato ? Vi piace saperne di più ?


EccoVi ……..accontentati

  -°-°-°-°-°-


Pigmalione mitico re di Cipro ed insigne scultore, riuscì a riprodurre una statua d’avorio tutta nuda,  che egli stesso aveva chiamata " Galatea " ( dal greco Gala, Galaktos che significa  Latte) della quale si era innamorato, considerandola, come tutti gli innamorati, il proprio ideale femmimile , superiore a qualunque donna, anche in carne ed ossa, tanto da dormire accanto ad essa sperando in un giorno che  si animasse.
Pigmalione  si riteneva superiore e disprezzava l'amore,  per vendicarsi di quest'arroganza, Afrodite lo fece innamorare follemente della sua statua,
  pigliandone le sembianze.



Statua marmorea raffigurante Pigmalione e Galatea
realizzata da  Etienne Maurice Falconet nel (1763)




Nel suo spasmodico amore Pigmalione invocò la dea della bellezza, affinché tramutasse l’eburnea statua in una fanciulla vivente.
Afrodite, impietositasi di lui e commossa da tanto amore per lei, fece vivere il simulacro e rese possibili le sue nozze con lo stesso.
Dall’unione nacque Pafo, il cui figlio Cinira, fondò in onore del padre l’omonima città (Pafo) e vi fece erigere un sontuoso santuario sacro ad Afrodite e da quel momento, in tutta l’isola di Cipro iniziò il culto per la dea della bellezza e del suo amante Pigmalione.
Tale vicenda rappresenta il simbolo dell’amore vivificante dell’artista per la sua
creazione, o quello della forza dell’amore, che eleva la persona amata a un piano di vita superiore.

Questa storia non finisce così, ha un seguito, perché è collegata ad Adone, altro amante di Afrodite(Venere), è sarà la curiosità della prossima volta.

mercoledì 19 settembre 2007

Il mito di Talo - L'inventore della sega.

Dedalo ed Icaro scolpiti da Canova


Vuoi conoscere chi è stato "l’inventore della Sega“ e a cosa s’ispirò per il suo utilizzo ?
E’ una leggenda mitologica, che dimostra che la gelosia e l’invidia sono cause di gravi sciagure fin dall’antichità .
Eccovi accontentati.
Ad Atene esisteva nell’antichità un artista, che di volta in volta sapeva essere architetto, scultore ed inventore di mezzi meccanici, che divenne tanto famoso che le sue opere sono giunte fino a noi, quale dimostrazione di ciò che può fare l’ingegno umano. L’artista in parola è Dedalo, che discendente dalla famiglia reale di Cecrope, (il fondatore di Atene), suo padre era stato (Palemone o anche Metione), mentre la madre era Alcippe.
Dedalo aveva come allievo ed aiutante +il figlio Icaro ed un nipote, un certo Talo, (noto pure come Acale).  figlio della sorella Perdice, che fin dalla tenera età mostrò un grande spirito di osservazione ed un’abile predisposizione ad inventare strumenti in grado di rendere meno faticoso il lavoro.
Imparato come utilizzare il proprio ingegno, un giorno Talo , osservando una mascella del teschio di un serpente, notò la doppia fila dei denti e il diverso allineamento degli stessi, intuendo così il sistema, che i serpenti con minimo sforzo riducevano le loro prede in pezzi piccoli e le potevano ingoiare anche se più grandi dell’apertura della loro bocca.
Dall’osservazione poi del moto alternato di andare avanti ed indietro della mascella del serpente Talo inventò la “sega”. Sue invenzioni furono il compasso per disegnare i cerchi; la ruota da vasaio e tante altre importanti ed utili. 
L’invenzione della “ Sega “ rese famoso Talo ed oscurò il suo maestro Dedalo, che preso dall’invidia e roso dalla gelosia, per liberarsene definitivamente lo gettò dall’alto dell’Agropoli uccidendolo.

Talo tasformato da atena in Pernice


In realtà (si racconta infine che la dea Atena intervenne in soccorso del Ragazzo e trasformò (Talo o Acale) in Pernice, salvandogli la vita.
 Dedalo, non fu creduto che era stata una disgrazia e fu condannato per il suo delitto all’esilio e dopo tanto peregrinare per le isole greche trovò ospitalità presso Creta alla corte del re Minosse, che gli conferì l’incarico di architetto, di scultore e d’inventore del suo regno, dove costruì il famoso labirinto e tante altre cose, che gli dettero fama nei secoli e pure tante amarezze. .

martedì 18 settembre 2007

La Santarella dei Quartieri Spagnoli di Napoli

Santa Maria Francesca - La Santarella dei Quartieri Spagnoli di Napoli




Immagine della statua di santa Maria Francesca

Conosciuta dai napoletani con il nome di Santa Maria Francesca delle cinque piaghe, non era altro che Anna Maria Rosa Nicoletta Gallo, che nacque a Napoli il 25 marzo del 1715, in una casa del quartiere Montecalvario, da Francesco Gallo e Barbara Basinsi.
Morì il 6 ottobre del 1791, fu dichiarata beata nel 1843 da Papa Gregorio XVI, il 29 giugno del 1867 fu Canonizzata da Papa Pio IX.
E’ Stata l’unica donna napoletana elevata alla Santità, a sedici anni si consacrò al Signore con la regola del terz'Ordine Francescano secondo lo spirito di penitenza di S. Pietro d'Alcantara.
E’ definita la Santa dei quartieri spagnoli ed è Compatrona della città di Napoli dal 1901 ed il suo corpo riposa nella chiesa di S. Lucia al Monte, sita al Corso Vittorio Emanuele (NA) sin dalla data della sua morte, avvenuta nella dimora dell' attuale casa-chiesa di vico Tre Re a Toledo, dove visse gli ultimi suoi anni di vita terrena, dedicando la sua esistenza alla preghiera ed alla costante assistenza di coloro che chiedevano la sua operosa missione cristiana.
Viene ricordata Santa Maria Francesca comunemente dalla gente come la " Santa Vergine delle stimmate" ed è invocata particolarmente dalle donne sterili e dalle future mamme che chiedono la sua intercessione per ottenere la sua benedizione per la grazia richiesta.
La vita di questa santa è ricca di aneddoti che riportano le sue prodigiose e miracolose intercessioni, anche se è descritta una semi-analfabeta arricchita di carismi spirituali come la profezia, la visione, l'estasi.
A Lei si rivolgevano importanti uomini di cultura e Principi della chiesa nell'essere aiutati a sciogliere i dubbi degli studi teologici e nel rafforzamento della Fede Cattolica.
A quasi due secoli dalla sua scomparsa la gente dei Quartieri Spagnoli continua ad osannare questa grande figura di Santità citando le innumerevoli opere di questa Suora Santa, la quale era solita implorare il Signore nel sconfiggere il demonio e raccomandare la gente con alcune sue esternazioni, di cui tra le tante ne riportiamo solo due: "Per carità non offendete Dio, non merita altro che amore". "Siate veri devoti di Maria e raccomandatevi costantemente a Lei, così avrete ogni grazia che desiderate”




Casa di Santa Maria Francesca (Napoli)



Al numero tredici del Vico tre Re a Toledo nei quartieri spagnoli, c'è un Santuario, minuscolo e aggraziato, dedicato a questa Santa, unica Santa nata a Napoli, unica donna dell'Italia Meridionale peninsulare canonizzata.
Si tratta di alcuni locali adattati a chiesetta attaccati alla casa dove suor Maria Francesca visse per trentotto anni e dove morì il sei ottobre 1791.
Nella sacra casa, secondo una pia tradizione, le persone in attesa di grazie usano sedere sulla sedia di santa Maria Francesca, la miracolosa.

 
La sedia della fertilità  di Santa Maria Francesca




Da oltre cent'anni attendono alla cura della Casa le "Figlie di Santa Maria Francesca".
La Congregazione ebbe inizio il 3 gennaio 1884 ad opera di Brigida Cuocolo, su richiesta del Cardinale Guglielmo Sanfelice. Oggi le religiose svolgono attività varie di apostolato e di educazione dei fanciulli e delle giovani, tra la povera gente.

venerdì 14 settembre 2007

Zucchini alla Scapece


A proposito di cucina Napoletana e delle sue rinomate gustosissime leccornie, vuoi conoscere chi preparò per primo i cosiddetti Zucchini Alla Scapece, un contorno senza tante pretese, che delizia il palato dei buongustai napoletani.


  Zucchine, tagliate a forma  di rondelle mentre friggono
dopo che essere state fritte, trattate con aglio, aceto e menta, diventano alla scapece




Come si presentano a tavola Gli zucchini alla scapece

State facendo l’acquolina in bocca ! Un momento ve lo dirò subito !
avete ragione sono una vera leccornia !.







A preparare “‘E zucchine a Scapece”, questo contorno squisito e pratico da servire nei pranzi a base di cacciagioni arrostite e pesci fritti, per la prima volta fu il più gran cuoco dell’antichità romana, Marco Gavio Celio Apicio, nativo di Bacoli e vissuto ai tempi d’Augusto e di Tiberio nel I secolo d.c..



Schiava addetta a sevire gli zucchini alla scapece ad un convivio


Ritratto presunto di Apicio patrizio romano , maestro dell'arte culinaria
i critici ritengono che si possa identificare in tre personaggi vissuti in epoche conseguenti
all'impero di Ottaviano e Tiberio, recante lo stesso nome.






Apicio, dalla corruzione ( storpiatura) del suo nome è derivata poi la dizione
“A scapece”, ( dal latino proposto e fatto " da  Apicio ") oltre ad essere un gran ghiottone, si beò perfino di scrivere un trattato d’arte culinaria, tutto ciò che gustava, in dieci libri dal titolo “De Re Coquinaria “ ( Il cucinare delle cose).
A quei tempi non esistevano ancora i frigoriferi, né le ghiacciaie, perciò le vivande, che non erano consumate, dovevano essere buttate o dato in pasto agli animali, perché si deterioravano  facilmente, sia nell’odore, che nel sapore e non più gustevoli.
Apicio, inventò allora un Liquamen ( una sorta d’intruglio a base di menta, aglio e aceto di vino bianco, in cui erano messi a marinare sia ortaggi fritti come gli zucchini, melanzane, ed ogni altra cosa fritta, specie pesci, come alici, anguille, capitoni. Con questo metodo si conservavano le vivande a lungo e le stesse acquistavano un gustoso sapore  acidulo e potevano essere preparate anzitempo. ( come pure la famosa salsa Garum).
Ad Apicio si deve attribuire anche l’origine della Menesta Ammaretata, La minestra sposata, cotta con altre verdure) e la semplicissima “ Caponata che prese il nome da biscotto integrale chiamato Custrum, l’attuale Fresella, che a quei tempi si consumava nelle Cauponae viarie, ( da mangiare per strada).



Spero che  è piaciuto il mio contorno"gli zucchine alla scapece" ne potete mangiare quanto ne volete, non fanno ingrassare, ne fanno gonfiare.
alla prossima ..............................

giovedì 13 settembre 2007

La Morosa di Polifemo


Lo sapevate che POLIFEMO era innamorato?

Volete sapere di chi era innamorato ?



Eccovi accontentati.



Diciamo subito che POLIFEMO,



IL gigante Polifemo (con un occhio solo)



 il ciclope che, Omero rese celebre nell’Odissea, quando lo descrive come un gigante con un solo occhio, accecato da Ulisse, era figlio di Poseidone e di Toosa. POLIFEMO, era quindi figlio di un Dio e di una Nereide,

 
La nereide, Toosa   (madre di Polifemo)


 
IL dio  Poseidone (Nettuno) padre di Polifemo




 e come tutti gli esseri viventi anche egli fu colpito dal dardo di EROS ( il Dio dell’Amore), percui s’innammorò della Ninfa GALATEA, (figlia di NEREO e dell’ Oceanina DORIDE,) che tutta nuda appariva sulle onde del mare ed era molto somigliante alla Dea VENERE, per la sua bellezza.

Raffigurazione della ninfa Galatea,
(somigliante alla dea Venere)







GALATEA respinse i corteggiamenti del rude Ciclope, perché amava nascostamente ACI, un pastore, figlio del Dio Italico FAUNO, ( per i greci PAN ) e della Ninfa SIMETIDE.


Il pastorello italico Aci (figlio del Dio Fauno, noto in grecia  comei Pan)
mentre amoreggia con la sua amata  Galatea
 ( seducendola con le dolci note suonate col suo zufolo)







Venuto a conoscenza della tresca, POLIFEMO andò su tutte le furie ed accecato dalla gelosia andò in cerca del suo rivale per campi e boscaglie.

Il Ciclope Polifemo, mentre scaglia un enorme verso Aci


Trovatolo, afferrato un grosso macigno, glielo scagliò addosso sfracellandolo.
GALATEA per il dolore si trasformò in fonte, ed invocò il padre GIOVE (ZEUS) di far rivivere sotto forma di fiume il suo amato ACI. Così avvenne e tale fiume si identificò con vari corsi d’acqua, che poi hanno dato origine a vari centri della Sicilia, come ACIREALE, ACITREZZA; ACICASTELLO, etc. etc.

Queste sono attualmemte le tre città di ACi:
 


 Acireale, la città che è considerata uno dei tanti  capolavori di Dio 

 Acitrezza, la riviera  presso Catania
Il maniero normanno eretto nei pressi di  Aci castello





Questo bel mito dell'amore, desiderato e non appagato, spinge a gesti inconsulti, perciò dimostra che spesso l'amore non conosce limiti, non ammette la non corresponsione del prescelto  amante ed è causa di  eventuali efferatezze ingiustificate.




mercoledì 12 settembre 2007

La fine di Edipo

Vuoi conoscere la fine, che fece Edipo,
 il re di Tebe, immortalato nella storia come il primo risolutore d'enigma e d'indovinelli? 
EccoVi ……..accontentato.

Il mito di Edipo è una delle più celebri leggende della letteratura ellenica, pervenutaci soprattutto attraverso la rappresentazione teatrale delle tragedie greche.
Edipo era figlio di Laio (nipote di Ercole, che aiutò lo zio nelle famose dodici fatiche) e di Giocasta (sorella di Creonte, re succeduto a Laio nel regno di Tebe).
Una maledizione predetta da un oracolo segnò l’intera vita di Edipo, che prevedeva che avrebbe ucciso il padre e sposato la madre, mentre la sua prole nata da quell'unione incestuosa, avrebbe fatto tutta una brutta fine.
Giocasta ed Edipo
 
Il padre di Edipo, Laio venuto a conoscenza della predizione, temendo per la sua vita fece portare via il fanciullo ed ordinò di appenderlo ad un albero sul monte Citerone con una cinghia, dopo avergli fatto forare i piedi alle caviglie (da ciò il nome di Edipo, che in lingua greca significa Piede Gonfio o dai Piedi Gonfi).
Fu salvato da un pastore, che lo portò dalla regina Peribea, consorte di Polibo (re di Corinto) che l’allevò e l’adottò come un figlio, poiché non aveva avuto la gioia di averne dei suoi. Dopo l’infanzia e l’adolescenza, Edipo visse alla corte di Polibo ritenendosi suo figlio e amato come tale dalla Regina Peribea..
Un giorno, però, un Corinzio avendo perso una gara con Lui, irritato, l’insultò, rilevandogli che non era il figlio del Re (Polibo), ma un trovatello.
Edipo, turbato, incessantemente interrogò il padre adottivo Polibo, che con molte reticenze alla fine gli confessò la verità, e non del tutto convinto, decise di andare dall’oracolo di Delfi per conoscere chi erano effettivamente i suoi genitori.
Durante il viaggio Edipo, per colpa di una banale lite, causata da chi doveva passare per primo nella strettoia del Crocicchio di Mega, s’imbattè con Laio ed il suo araldo Polifonte e quando quest’ultimo per farsi largo l’altercò offendendolo, s’infuriò ed annientò i due contendenti, realizzando così la profezia, svelatagli dall’Oracolo, che avrebbe ucciso il suo padre effettivo, Laio, senza saperlo
Edipo e la Sfinge




Giunto a Tebe, dove era reggente Creonte, fratello della regina Giocasta durante l'attesa del ritorno del marito Laio, liberò gli abitanti di quel regno, che erano afflitti dalla Sfinge (un mostro mezzo leone e mezza donna), che poneva enigmi ai passanti, divorandoli in caso che non sapevano rispondere.
Edipo e la Sfinge ( Gustave Moreau)


Vi riuscì dando le risposte esatte ai suoi. Indovinelli e costringendo il mostro indispettito a precipitarsi dall’alto della roccia sulla quale era appollaiato.
Creonte, per ringraziarlo della liberazione dalla Sfinge per riconoscenza gli dette come sposa Giocasta (ormai ritenuta vedova di Laio) e per conseguenza gli accordò il potere di governare al suo posto, facendolo diventare re dei Tebani.

Charles François Talibert - Édipo e Antígone 



Dalle nozze incestuose di Edipo e Giocasta nacquero tre figli ( Eteocle, Polimice ed Ismene) ed una figlia, Antigone , che fu l’unica ad assistere il proprio genitore fino alla sua fine, che avvenne, quando per salvare il popolo da una terribile pestilenza, si lasciò condurre ormai cieco nel bosco delle Eumenidi a Colono presso Atene, dove fu inghiottito dalla terra. 

La fine di Edipo (John Henry Fussli - 1784)



Edipo era diventato cieco, perché si strappò gli occhi, a seguito della morte di Giocasta, che s’impiccò, quando scoprì la verità sull’accoppiamento innaturale avuto con lui, figlio avuto dalle prime nozze con Laio.

Questa leggenda mitologica c'è stata tramandata, perché ci fa capire quello stato psicologico noto, come il Complesso di Edipo, per il quale il figlio maschio sentirebbe amore intenso per la madre ed odio per il padre (al contrario la figlia).