Volete conoscere come v' a finire la bella favola di “Eros e Psiche”,
Quella degli ”Dei”, che immortalarono il mito dell’amore e dell’anima, riferitoci da Apuleio nelle Metamorfosi?
Tale mito è rappresentato nella pittura pompeiana (dove Psiche è una bambina alata, che simboleggia l’anima ed è simile ad una farfalla, e come una libellula giocava con alcuni amori anch’essi alati senza fermarsi) e raffigurato nel celebre gruppo marmoreo del Canova e nel dipinto di Francois Gerard, i quali sono esposti a Parigi al museo del Louvre, dove Eros (Cupido, dio dell’Amore) è raffigurato in un bellissimo giovane alato, che abbraccia spasmodicamente Psiche (Anima), una leggiadra fanciulla con armoniose fattezze quasi sovrumane.
Amore e Psiche ( scultura di Antonio Canova) |
nel dipinto di Francois Gerard, i quali sono esposti a Parigi al museo del Louvre, dove Eros (Cupido, dio dell’Amore) è raffigurato in un bellissimo giovane alato, che abbraccia spasmodicamente Psiche (Anima), una leggiadra fanciulla con armoniose fattezze quasi sovrumane.
Amore e Psiche (dipinto di Francois Gerard) |
Ecco Vi ……..accontentato.
Psiche era figlia di un Re di un antichissimo popolo Berbero, ed era la più piccola d'altre due sorelle. Tutte e tre erano bellissime, ma Psiche era incredibilmente dotata di una bellezza sovrumana paragonabile a Venere (la greca dea della Bellezza, Afrodite) tanto che venivano da tutte le parti per ammirarla.
Venere, infastidita, da tanto clamore per la beltà della fanciulla, chiamò suo figlio Eros (Cupido) e gli ordinò di far innamorare Psiche con un mostro orrendo, per vendicarsi dell’affronto. Il padre di Psiche per mezzo di un oracolo, che aveva interrogato, venne a conoscenza che la Giovinetta sarebbe dovuta essere portata sulla montagna sacra, prospiciente la reggia, per andare in sposa ad un mostro orrendo viviparo, che svolazzava alato nei cieli. Un vento dolcissimo (Zefiro) la sarebbe venuta a prendere, per portarla nell’alcova del mostro, costruita interamente di marmo bianco, immersa in una gran valle, dove sorgeva un prato d’erba tenera lussureggiante.
Tra pianti e sofferenze con un corteo, quasi funereo, la fanciulla fu condotta ai piedi della Montagna sacra, affinché l’oracolo s’avverasse. Alla fine del viaggio, Psiche lasciata sola, dolcemente s’addormentò, anche perché colpita dalla freccia dell’innamoramento scoccatale da Eros (Cupido). Nel lanciare il dardo, Eros (Cupido) per il troppo impeto si ferì e l’effetto del dardo prese anche lui e inconsapevolmente s’innamorò anch’egli della bella Psiche.
Prima si svegliarsi dal dolce sonno, Psiche, fu sollevata dal suolo da un leggero venticello, che la depositò nel giardino di una reggia tutta d’oro ed argento, che era situata di là della montagna sacra. Fu svegliata dal dolce brusio di leggiadre ancelle, che l’accolsero con gaiezza e le dichiarano che erano a suo completo servizio e che l’avrebbero servita con la massima dedizione.
Le giornate nella reggia scorrevano serenamente per la bella fanciulla, assistita dalle fedeli ancelle e terminavano con calar del sole, poiché non v’erano lanterne, torce o qualcos’altro, che potessero illuminare e rischiarare le buie serate e le scuri notti.
Le ancelle le affermarono che il loro padrone, non amava farsi vedere, e sarebbe venuto a trovarla nella sua stanza solo con il buio della notte senza neanche il chiarore della Luna. La notte fatidica sopraggiunse e nell’ombra della stanza apparve qualcuno, che senza tanti convenevoli entrò nel letto della bella Psiche e la fece sua. L’indomani Ella fu vista dalle proprie ancelle tutta raggiante e piena di dolcezza, poiché durante la notte aveva assaporato le gioie inimitabili del vero amore, che portano al raggiungimento della terrena felicità inappagabile. Senza vederlo Psiche s’innamorò del suo notturno visitatore, tanto che percepiva che fosse bellissimo e non il mostro profetizzatole dall’oracolo. La felicità raggiunta da Psiche non era completa, perché doveva poterla condividere con qualcuno, specie con tutta sua famiglia (i genitori, le sorelle), sia per tranquillizzarli, sia per renderli partecipi a cotanto stato di grazia sublime.
Nei successivi incontri notturni, Psiche chiese al suo sconosciuto amante di poter ospitare nella reggia le sorelle, per mostrare loro la condizione di serenità e felicità che era riuscita ad ottenere. Eros (Cupido) in un primo momento cercò di metterla in guardia, affinché l’unico modo di conservare quello stato di felicità era di non farlo mai conoscere a nessuno, ma Psiche non volle sentire ragioni e pretese che le sorelle potessero raggiungerla nella reggia.
Il desiderio insistente fu esaudito da Eros (Cupido), che per mezzo di Zefiro (il vento dolce) fece sì che le tre sorelle s’incontrassero nello splendido palazzo, dove viveva la bella Psiche. L’incontro fu commovente e pieno d’affetto, finché l’invidia e la gelosia da parte delle sopraggiunte sorelle non presero il sopravvento.
Dopo una serie di domande da parte delle sorelle, Psiche le informò che non conosceva il volto del suo amante, poiché l’incontrava solo di notte al buio.
Le sorelle allora la convinsero a dipanare l’alone di mistero, che avvolgeva il suo amante e le procurarono una lampada ad olio ed una spada, in modo che quando si sarebbero di nuovo incontrato, l’avrebbe così potuto vedere in viso e conoscere cosi la fonte della sua immensa felicità.
Psiche accettò il suggerimento delle sorelle malvolentieri, anche perché, avvertita dallo stesso suo amante sconosciuto, era consapevole che il loro idillio sarebbe finito per sempre nel momento in cui l’avrebbe scorto in viso, anche per un solo istante, perché l’estasi d’Amore, quello che lui rappresentava, non era possibile guardare in faccia.
Una notte Psiche appena Eros (Cupido) s’addormentò, si avvicinò e lo guardò in faccia al chiarore della lampada e lo trovò bellissimo, più di quanto l’avesse immaginato, e cercando di dargli un ulteriore bacio, involontariamente gli fece cadere una goccia d’olio bollente della lampada sulla spalla.
Psiche scopre l'identità dell'amante e fa cadere una goccia di olio bollente, Jacopo Zucchi |
Eros (Cupido), svegliatosi improvvisamente ed arrabbiatissimo, volò via senza profferire parola. Riavutosi dopo un po’ dall’affronto subito, perdonò Psiche, dopo aver ascoltato che non era stata una sua iniziativa, e punì le cognate perfide, inducendole a lasciarsi cadere nel vuoto dalla montagna sacra se avessero voluto provare anche loro il suo amore.
Le poverette credendo di poter volare, come la prima volta, (quando erano state prelevate dalle loro case e trasportate nella reggia dorata di Psiche) si lanciarono nel vuoto, ma senza l’aiuto di Zefiro (il vento dolce) si sfracellarono al suolo.
Psiche non ricevendo più notizie d’Eros (Cupido) andò in cerca di lui girando per il mondo, ma il suo amante non poteva né udirla, né scorgerla, perché un fortissimo bruciore (procuratogli dalla goccia dell’olio bollente) lo percuoteva tutto e deluso e depresso si era rinchiuso nella stanza da letto della madre (Venere) e si rifiutava persino ad andare in giro a svolgere il suo compito fatale (far innamorare i mortali, scagliando loro incontro le frecce dell’amore). La notizia, che nessuno più s’innamorava, arrivò a Venere, che stava in vacanza nuotando felicemente nell’Oceano. Gliela portò un gabbiano, che l’informò anche che tutto era colpa del proprio figlio Eros, che piangeva notte e giorno a causa di una mortale (Psiche), di cui s’era innamorato perdutamente. Venere arrabbiatissima corse nella sua dimora tutta dorata immersa in mezzo all’oceano e redarguì il suo rampollo severamente minacciandolo che se continuava a rimanere in quello stato, l’avrebbe sostituito con un altro figlio, magari adottivo, al quale avrebbe consegnato il suo arco e le frecce dell’innamoramento, perché non poteva esistere il mondo senza innamorati. Infine emise un bando affinché le fosse condotta ai suoi piedi la bella Psiche, ben legata, in caso di successo della richiesta sarebbe stata prodiga di un premio unico, concesso dalla stessa Venere, consistente nel ricevere sette baci di cui uno prelibatissimo con la lingua in bocca (bacio che avrebbe trasmesso il dono della bellezza).
Tutti desideravano catturare Psiche, ma sola una donna vi riuscì, trascinandola per i capelli davanti alla Dea della Bellezza.
Alla presenza della sovrumana bellezza di Psiche, Venere ordinò alle sue ancelle di fustigarla a sangue e di renderla irriconoscibile, facendogli strappare i capelli e sfregiandola in viso. Psiche non invocò pietà, ma mormorò solo di poter rivedere Eros (Cupido) che era diventato l’unico motivo della sua esistenza, altrimenti desiderava morire. Venere, apprezzò il coraggio della giovinetta e la sfidò a superare quattro prove e sol così avrebbe rivisto Eros (Cupido), in caso contrario sarebbe stata punita con una tremenda morte.
La Prima prova
La prima prova richiedeva la separazione in vari gruppi secondo il tipo di un immenso mucchio di semi tutti mischiati di grano, ceci, lenticchie, fagioli, arachidi. Psiche doveva effettuare il tutto durante il tempo che Venere avrebbe impiegato nell’andare ad una festa su nell’Olimpo e fatto ritorno. La Giovinetta non tentò minimamente l’impresa data l’enorme difficoltà, ma una formica, che si trovò a passare di lì, ebbe pietà per la sfortunata ed andò a chiamare le sue compagne e, in meno che non si dica, divisero tutti i semi, com'era richiesto.
Al ritorno della Festa Venere, non credette ai suoi occhi, in ogni modo, soddisfatta, dovette complimentarsi e proporre la prova successiva.
La Seconda Prova
La seconda prova prevedeva la raccolta di un po’ di lana d'alcune pecore, che pascolavano di lì appresso e, che avevano il vello color d’oro. Psiche pensando che sarebbe stato facile la raccolta, immantinente si lanciò verso le pecorelle, ma una Canna di bambù, che cresceva nella vallata, la fermò, intimandogli di non affrontare quell’apparente mansueto gregge, perché in realtà erano belve feroci, che l’avrebbero sicuramente dilaniata. La Canna anzi le consigliò di attendere la sera e di scuotere i cespugli, dov’erano passate le pecore e raccogliere la lana che vi ci s’era impigliata.
Facendo come le era stato consigliato e consegnato i cirri color d’oro alla futura Suocera, s’apprestò a soddisfare la terza prova.
La Terza Prova
La terza prova consisteva nel sapersi arrampicare sulla cima di un alto monte, dove sgorgava un’acqua di una fonte sacra e riempirne un’ampolla. La sottoposta alle prove si dette da fare in un baleno e partì di corsa verso il monte, ma giuntovi ai piedi del versante dove sfociava il torrente, capì che l’impresa era impossibile per la ripidità delle pareti. Scoraggiata e quasi rinunciataria, fu improvvisamente avvicinata da un’aquila, che le strappò l’ampolla di mano e gliela riportò colma della preziosa acqua.
Terminata con successo anche questa terza prova, l’innamorata Psiche s’accinse con determinazione ad affrontare la quarta ed ultima prova.
La Quarta Prova
La quarta prova invitava la bella Psiche a recarsi agli Inferi da Proserpina, e chiederle di mettere un po’ della sua bellezza in un vaso per superare la prova e coronare così il suo sogno d’amore. Non sapendo come fare la Giovinetta, pensò di raggiungere gli Inferi suicidandosi, ma mentre s’accingeva a fare ciò, una Torre parlante la fermò e gli indicò come doveva comportarsi per la soluzione della difficile prova.
Le assicurò che in una città lì vicina esisteva un cunicolo, che penetrava nel sottosuolo e che portava direttamente agli inferi. Le ordinò di recare con se due focacce mielate e di mettersi in bocca ugualmente anche due monetine, che rappresentavano il pedaggio da pagare per giungere nella dimora di Proserpina.
Durante il tragitto incontro un asinaio zoppo, che guidava un asino come lui anch’esso claudicante, che le avrebbe indicato il percorso verso il fiume Stige.
Senza ringraziare il viandante Psiche dopo in po’ arrivò al fiume infernale, dove incontrò Il vecchio Acheronte, il traghettatore delle anime dei morti, e come consigliatole dalla Torre parlante, gli consegnò una prima moneta per essere portata all’altra sponda del fiume. Durante l’attraversamento dello Stige incontrò un vecchio, che desiderava salire sulla barca, cui non dette ascolto perché improvvisamente si trovò di fronte un mostro, rappresentato da un cane con tre teste (Cerbero), che era a guardia della reggia di Proserpina. Buttò una delle due focacce meliate, come le era stato detto, e riuscì così indenne ad arrivare alla presenza della Regina degli inferi.
Fattosi consegnare il vaso della bellezza per diventare più bella di prima. La torre parlante le aveva intimato di non aprire mai il vaso, altrimenti sarebbe morta. La curiosità però fu tale e Psiche sfidando la sorte aprì il vaso, ma il contenitore di porcellana era vuoto, e le procurò solo un sonno profondo, che le fece stramazzare al suolo, quasi come morta.
L'estasi tra e Eros e Psiche( opera di Van Dyck) |
Intanto Eros, ripresosi dalla depressione e rimessosi a lanciare i dardi amorosi dall’alto del suo girovagare e scorta Psiche, le corse in aiuto e rinchiuse il sonno, l’effetto procuratole che l’attanagliava, nel vaso da cui era uscito e punse l'amata con un‘altra sua freccia, finché non si risvegliò completamente. Avendo superato tutte le prove Venere, allora permise ad Eros di portare la bella Psiche su nell’Olimpo. Alle insistenze d'Eros, Zeus (Giove) concesse di far bere un bicchiere d'ambrosia (il nettare dell’eternità, di cui si cibavano i soli Dei) a Psiche, che divenne così immortale e poté con pari dignità soggiacere liberamente nel talamo d'Eros. Trascorso un po’ di tempo Psiche partorì una bellissima piccina, che chiamò Voluttà (il piacere assoluto) e con Eros visse felice e contenta aiutandolo nella sua missione (l’innamoramento dell’umanità)
Questa favola mista di mitologia c'insegna che il vero amore non conosce ostacoli, non ha fisionomia uguale per tutti, quindi s’accetta senza condizionamenti, qualunque esso sia, specie se vissuto con tutta l’anima.
E' stata una piacevole e interessante lettura!! complimenti come sempre Sasà!
RispondiEliminastupendo questo mito di Eros e Psiche. L'amore ha vinto persino gli intrighi della "cara suocera". sempre grazie
RispondiEliminalola leone