Quarta parte della seconda puntata del processo di piaza del Plebiscito
Terminate le arringhe della difesa si udirono voci tra la folla, intanto, che gremiva la piazza con espressioni di questo genere :
“ Comma hanne parlate belle! On Save’! So tutte Avvucate, me pareve ‘e assistere a ‘nu vere pruciesse! Pecchè ’a vonne luvà ‘a statua ‘e chiste Re Vittorio Emanuele II, a me nun me pare ca ha fatte male a coccherune, vuje ca site jute a scola e cunusciute tanti ccose, spiegateme pecchè se sta a fa ‘stu pruciesse?”
Don Saverio il pensionato replicò :”Onna Cuncè! Manche je ‘nce capisce niente, ma si se sta facenne ‘stu pruciesse, cocchecosa ‘nce addà stà 'a sotta; se so' scummedate tutte ‘sta ggente ‘mpurtante, Sinneche da ajere, Avvocate ’mpurtante, gente ca sape ‘a storia veramente, no chella, ca ‘nce hanne ‘mpapucchiate a nuje, pirciò , stamme a sentì e verimme comme va a ferni!”
Onna Rosa, ‘a baccalaiola, s’introdusse nella discussione dicendo:” On Saverie parle bbuone, Isse ‘e pensiunate! Nun tene niente ‘a fa! Po’ aspetta!, ma nuje femmine tenimme ‘o che fa’, ‘nce avimme ritirà a casa, avimme priparà a cena pe’ stasera, chi ‘o sente a mariteme quante arrive e vo’ magnà’!, Le diche nun agge priparate niente, pecchè so’ state a sentì' ‘o pruciesse a piazza Plebbiscite!” Cuncettì! , me stonghe ‘nu poche e po’ me ne vache!, Comme va a fernì’ mo faje sapè tu! Statte bbona!
Intanto il dibattimento continuò, viene chiamato ad esporre il presidente del collegio dell’accusa, che era rappresentato dall’illustre avvocato, Gaetano Salvemini, ex parlamentare socialista dell’inizio di fine Secolo Ottocento, nonché libertario e rivoluzionario repubblicano, che nel prendere la parola inizio a dire : “ Ci troviamo davanti ad un’ingiustizia storica, che da buon meridionalista, desidero, che si ricorra ai ripari; Primo, perché, rimuovendo la statua dell’usurpatore del Regno delle Due Sìcilie, Il cosiddetto Padre della Patria, Vittorio Emanuele II di Savoia, rendiamo giustizia ai tanti morti di guerre, che si sono immolati per la grandezza di Napoli e per i principi quantomeno onorevoli e importanti, come la Libertà, la Giustizia, l’Uguaglianza, che non esistevano nel quotidiano comportamento del personaggio in discussione, che nella sua triste esperienza di Re non seppe mai coniugare, perché fece continuare i privilegi della Nobiltà, della Chiesa, che accumularono ingenti patrimoni immobiliari ed immensi latifondi, a danno dei lavoratori, dei contadini e di tutti coloro, che si battevano per questi sacrosanti diritti.
Al suo posto propongo che sia
collocata una statua di un vero eroe napoletano degli ultimi tempi, (lontano
dai Borboni e dai Savoia) il Prof. Antonino Tarsia in Curia, che capeggiando il
popolo nei tristi giorni delle famose,
“Quattro Giornate di Napoli” liberò la città dal vessatorio giogo tedesco del suo comandante colonnello Schol e dalle barbarie nazifasciste, che opprimevano la città nel fine settembre del 1943, (dal 27 al 30 settembre del 1943) dopo che, via radio, si seppe della proclamazione dell’armistizio di Cassibile, firmato 8 settembre dal generale Castellano, per conto del governo italiano presieduto da Badoglio, e dal generale Bedel Smith, per conto del comandante delle truppe alleate Angloamericane, generale Eisenhower. Non solo seppe coordinare gli insorti, ma insieme al capitano Stimolo, riuscì a far liberare coloro che erano stati razziati e fatti prigionieri per rappresaglia, (perché rei non essersi presentati spontaneamente per andare a lavorare in Germania), ed erano tenuti nello stadio del Vomero (l’attuale stadio Collana) mentre appena dopo la cacciata dei Tedeschi fu chiamato a ben ragione stadio della Liberazione.
Un Eroe di tale grandezza venne dimenticato velocemente ed il suo nome esiste nella toponomastica cittadina, però relegato in una viuzza dietro il Castello dell’Ovo, perché non se ne poteva fare a meno.
Non finì la sua arringa che anche se non napoletano, volle prendere la parola e continuare l’accusa il noto studioso della questione Meridionale
l’On.
Antonio Gramsci,
che
esordì affermando: “ che i Savoia, ed in
primo luogo Vittorio Emanuele II , altro che liberatore, fu un Regnante feroce,
che mise a ferro e fuoco l’Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando,
seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono di
infamare col marchio di Briganti. Alla luce di tutto ciò che accadde
all’indomani del 1860, per mera colpa di questo sovrano, non si può parlare di
padre della patria, ma piuttosto di un invasore, come non c’erano stati
precedentemente, che annettendo, spoliando, in una parola, distruggendo tutto
ciò che era patrimonio e ricchezza di un paese florido e gioioso di vivere,
costrinse un popolo, che non desiderava per niente essere liberato, ne annesso,
come poi è stato scritto, con un farsesco plebiscito popolare, avallato e
legalizzato da scrutatori camorristi, come Tore ‘e Criscienzo e Totonne ‘e
Porta ‘ e massa.
L’accusa di Gramsci stava facendo scivolare il dibattimento verso l’ipotesi
che la dinastia dei Savoia non era stato altro, che un male inaccettabile, che
aveva causato tantissimi morti prima e dopo l’annessione, nel nome di quella
Unità d’Italia, e proseguito con la Prima guerra Mondiale, quando intere classi
di giovani (i famosi ragazzi del 1899) prevalentemente provenienti dal Sud
Italia, perirono per conquistare la Venezia Giulia ed il Trentino al grido di
Avanti Savoia.
A volere tutto ciò fu il Sovrano Vittorio Emanuele III, figlio di'Umberto I,
nipote di Vittorio Emanuel II, il cosiddetto Re soldato, che con l’avventuriero
Benito Mussolini, c'indusse ad allearci con il dittatore Nazista Hitler, per
coronare il sogno di diventare Imperatore. Anch’egli per inusitate manie di
potere fece uccidere migliaia e migliaia di'esseri umani, utilizzando armi come
il gas nelle impari conquiste dell’Eritrea e della Somalia, dell’Albania.