domenica 27 luglio 2025

Quartiere Vomero.

 

318^puntata delle Curiosità Storiche

di Sasà ‘O Professore                                                            Il Quartiere Vomero.                                                    

 

Il Vomero (O Vòmmero in napoletano) è uno dei quartieri collinari di Napoli. I suoi abitanti sono detti “Vomeresi”. È uno dei quartieri più ricchi di Napoli ed Inoltre, è celebre per le sue vedute panoramiche sul golfo di Napoli e la sua atmosfera elegante e vivace. Con la "riforma del decentramento" deliberata nel 2005, il Vomero con l'Arenella forma la municipalità V, che, con i suoi 120 000 abitanti, è la zona più densamente popolata della città. Il punto più alto del quartiere è la certosa di San Martino, con un'altitudine di 251 m s.l.m. Il quartiere Vomero confina “A NORD” con il quartiere Arenella (viale Michelangelo, Piazza Cosimo Fanzago, via Vincenzo D'Annibale, via S. Gennaro ad Antignano, largo Antignano, via Antignano, via Don Luigi Sturzo, via Case Puntellate, Cavone Case Puntellate),                 ”A OVEST” con i quartieri Soccavo (via S. Domenico) e Fuorigrotta (via Piave),                                                     “A SUD” con il quartiere Chiaia (via Vicinale Fosso S. Stefano, Piazzetta S. Stefano, via Torquato Tasso, Gradoni S. Francesco, via Filippo Palizzi, Salita Petraio, corso Europa) e                                                                        “A EST” con il quartiere Montecalvario (Piazza Leonardo, Salita Cacciottoli, viale Raffaello, largo S. Martino, via Pedamentina S. Martino) e con il quartiere Avvocata (Piazza Leonardo).

 (Carlo Celano) lo storico canonico, cosi la definì:

«Questa contrada detta il Vomere è ricca di monasteri e di bellissime casine per essere l'aria salutifera avendo un aspetto al mare»,                                                             In epoca greca, la collina vomerese era chiamata Bomòs , cioè ("collina"), nel Seicento, poi, si diffuse il nome Vomero, che per i dotti derivi. invece, da Vomòs.                                                                             Il toponimo attuale, Vomero, attestato alla fine del Cinquecento (quando si riferiva però non all'intera collina, ma ad un antico casale), trae presumibilmente  origine dalla sua antica vocazione agricola e al gioco del vomere, un passatempo contadino, che sanciva come vincitore chi, con il vomere dell'aratro, avesse tracciato un solco quanto più possibile dritto. Comunque, proprio l'attività legata ai campi e la gran messe di verdure coltivate, gli valsero per secoli il soprannome di Collina dei broccoli.

Fino alla fine del XIX secolo il Vomero costituiva una periferia pressoché disabitata e lontana dalla città di Napoli, le sue parti più antiche, come il rione Antignano, erano nuclei abitativi rurali, villaggi che, sin dai tempi dei Romani, sorgevano sulla "Via Puteolis Neapolim per colles", strada che, prima dello scavo della galleria di collegamento tra Fuorigrotta e Mergellina, costituiva l'unico collegamento viario tra la zona flegrea e la città. Intorno al II° secolo d.C. la strada fu risistemata e chiamata via Antiniana, da cui il nome al rione. Proprio nell'antico villaggio che oggi è il rione di Antignano.       (la tradizione vuole sia avvenuto per la prima volta il miracolo di San Gennaro, tra il 413 e il 431).                    La zona cominciò quindi a popolarsi, soprattutto a partire dalla costruzione del Chiostro Certosino nel 1325 e quasi contemporaneamente gli angioini sostituirono l'antico torrione di vedetta (d'epoca normanna), vicino al quale sorse il Chiostro, con il Castello di Belforte, nucleo di partenza del Castel Sant'Elmo. L'assetto del restante territorio vomerese rimase tuttavia immutato. Sotto i sovrani aragonesi e i posteriori viceré spagnoli, Napoli andò incontro ad un vertiginoso aumento demografico, dovuto alla forte immigrazione proveniente dai centri circostanti e dal resto del regno. La necessità di allargare il territorio cittadino indusse il viceré Pedro Álvarez de Toledo a dirigere lo sviluppo della città (allora solo pianeggiante) verso le pendici delle colline, rimaste fino a quel momento prive di significativi insediamenti abitativi. Tuttavia, nel 1556 una legge vietò la costruzione di nuovi edifici intorno a Sant'Elmo e, nel 1583, anche sulle pendici del colle.                                                        Con la fusione di innumerevoli borghi, anche sulla collina iniziarono a formarsi agglomerati più omogenei, villaggi e casali e durante la peste del 1656, la collina fu utilizzata come rifugio da parte della nobiltà e del clero, perché si era infatti affermata nell'aristocrazia residente nel centro storico la tendenza a costruirsi una seconda casa al Vomero. Tendenza, che si accentuerà nel corso del Settecento, soprattutto grazie all'apertura della nuova "strada Infrascata" (Via Salvator Rosa). Tra le tante famiglie nobiliari, che si stabilirono al Vomero, furono i Carafa, i Conti di Acerra, i Ruffo di Sicilia, i Cacciottoli ed i Cangiani.                                                  Nel 1817, il Vomero fu promosso al rango di residenza non solo nobiliare, ma anche regale, con l'acquisizione di una villa, “la futura Floridiana” da parte di Ferdinando I° di Borbone.                                                           Notevole fu il contributo del quartiere Vomero alle “Quattro giornate di Napoli” (27-30 settembre 1943).       Fu infatti al Vomero, che si registrarono i primi scontri, dapprima nei pressi della masseria Pagliarone (dove un gruppo di persone armate fermò un'automobile tedesca uccidendo il maresciallo, che era alla guida), poi al quadrivio tra via Scarlatti e via Cimarosa, ove una motocarrozzetta germanica fu ribaltata provocando la morte dei due occupanti e, per questo evento, ci fu una tremenda rappresaglia tedesca. Pertanto. come in varie piazze del quartiere, in particolare in Piazza Vanvitelli (dove una decina di giovanissimi vomeresi, usciti da un bar, attaccarono tre soldati tedeschi, dopo che era giunta al Vomero la notizia della morte di un marinaio, freddato con un colpo di pistola da un nazista) e nella piazza dell'allora Stadio Littorio, chiamata "Piazza Mascagni" ed oggi ribattezzata appunto “Piazza Quattro Giornate”.                                                                              I tedeschi avevano, infatti, deciso di utilizzare lo stadio, come campo di concentramento per gli insorti.                 I partigiani, però, circondarono il campo e, armati solo di una mitragliatrice antiaerea e poche pistole e fucili, riuscirono a liberare i prigionieri. La sera precedente era caduta l'armeria del Castel Sant'Elmo, non senza spargimento di sangue, perchè i tedeschi, asserragliati anche all'interno della Villa Floridiana, intervennero in forze a dar battaglia. Da ricordare  infine il “Liceo Sannazaro” che divenne luogo di incontro e di coordinamento della Resistenza, qui il professore, Antonio Tarsia in Curia, il 30 settembre 1943 si autoproclamò capo degli insorti assumendo pieni poteri civili e militari. È nella palestra di questo stesso liceo, che i corpi dei caduti delle Quattro giornate furono trasportati per la commemorazione. Oggi nel quartiere sono poste, a memoria degli eventi, quattro lapidi sulla facciata del Liceo classico Jacopo Sannazaro, accanto all'ingresso della caserma dei Carabinieri a “Piazza Quattro Giornate”, sulla facciata del liceo classico vi è la terza targa,  intitolata ad ”Adolfo Pansini” (giovane studente vomerese impegnato nella lotta contro il fascismo, ucciso dai tedeschi durante le Quattro Giornate di Napoli il 30 settembre 1943 a pochi metri dall’attuale sede centrale del liceo) e la quarta in Via Belvedere, di fronte all'antico ingresso principale della masseria Pagliarone, dove nacque la prima rivolta.           Nel secondo dopoguerra, la sempre più consistente domanda abitativa e la conseguente speculazione edilizia degli anni sessanta, sostituì le sobrie ed eleganti architetture vomeresi con enormi fabbricati in cemento armato, facendo  scomparire la maggior parte dei giardini e la distruzione di buona parte dei villini in stile Liberty e di alcuni fabbricati umbertini.                              Oggi il Vomero si è andato configurando come un quartiere borghese, arrivando ad inglobare l'Arenella e spingendosi fino alle pendici della collina dei Camaldoli, non senza alcuni autentici scempi edilizi (come la famigerata Muraglia Cinese di Mario Ottieri su via Aniello Falcone o i palazzi di via Caldieri).

 

 

venerdì 25 luglio 2025

317 curiosità storica di sasà

 

I Quartieri Spagnoli

I Quartieri Spagnoli (in napoletano Quartieri Spagnuoli, comunemente anche Ncoppe 'e Quartieri) sono una zona di Napoli. Ricompresi nel centro storico della città, essi sono suddivisi tra le municipalità la 1 e la 2.

Costituiscono i Quartieri Spagnoli i territori delle preesistenti circoscrizioni di: Montecalvario, San Ferdinando e Avvocata.

L'area urbana nota come "quartieri" (nel senso militare del termine) è caratterizzata, dal punto di vista urbanistico, da una struttura reticolare, che scende dalle alture  dominate da Castel Sant'Elmo, con la tipica collocazione di alloggi destinati ad ospitare la guardia della fortezza. La zona sorge intorno al XVI secolo, ad opera dell'architetto senese,, Giovanni Benincasa, e del napoletano, Ferdinando Manlio, per volontà dell'allora viceré, Pedro de Toledo, al fine di acquartierare le guarnigioni militari spagnole, destinate alla repressione di eventuali rivolte della popolazione napoletana, oppure come dimora temporanea per i soldati, che passavano da Napoli in direzione di altri luoghi di conflitti.  Nello stesso tempo, fu poi anche una certa qualità di edilizia popolare, atta a dare alloggio ai numerosi abitanti locali, che, in quegli anni, dalle campagne circostanti si erano stabiliti nella capitale del regno.

Fin dalla sua nascita, l'area conosciuta come "Quartieri Spagnoli", anche in ragione di un elevato rapporto tra popolazione e densità edilizia, presentò fenomeni di criminalità, gioco d'azzardo e soprattutto prostituzione, Fenomeno legato in particolar modo all'offerta di "svago" proferita dai locali ai soldati ivi acquartierati o di passaggio. Neanche apposite leggi, atte a debellare il fenomeno, il quartiere rimase, in seguito alla perdita della sua funzione originaria, (alloggiamenti di militari spagnoli) sempre un'area di grandi difficoltà sociali della città partenopea.

 Dal Cinquecento al Settecento, nei quartieri viene progressivamente meno la presenza militare, mentre è alta la percentuale di immigrati dai centri circostanti, che si inseriscono particolarmente nel settore dei servizi, come la presenza degli artigiani, soprattutto sarti e calzolai. Fino al XIX secolo, la vicinanza di via Toledo, sede di importanti uffici amministrativi e finanziari (Banco delle Due Sicilie, Borsa, Gran Corte dei Conti), incise significativamente sulla composizione socio-professionale degli abitanti di tale area, la quale assunse una fisionomia di tipo residenziale, data la presenza di nobili, impiegati, proprietari ed appartenenti al ceto medio.[Con l'unità d'Italia, la popolazione si proletarizza in un generale passaggio ad un'economia ai margini della legalità, che in certa misura si prolungherà nel corso del secolo successivo.

Nonostante le proposte di "sventramento" avanzate in occasione di ipotesi urbanistiche di risanamento nella prima metà del XX secolo, l'aspetto dell'area rimase inalterato e, al giorno d'oggi, nel quartiere vivono circa 14.000 persone, per un totale di 4.000 famiglie, dislocate su una superficie di circa 80 ettari. A causa della particolare conformazione del suolo, come in altri quartieri storici della città, è possibile che avvengano, non di rado, cedimenti del terreno. Nella notte a cavallo tra il 22 e il 23 settembre 2009, in vico San Carlo, probabilmente a causa delle forti piogge, si è verificato il crollo del manto stradale, che ha dato luogo a una voragine di quasi 20 metri di lunghezza. Ciò ha provocato l'immediata evacuazione di alcuni edifici e la chiusura della chiesa di San Carlo alle Mortelle.